Warning: "continue" targeting switch is equivalent to "break". Did you mean to use "continue 2"? in /home/mhd-01/www.robsom.org/htdocs/lafabbricadeisogni/wp-includes/pomo/plural-forms.php on line 210

Warning: Use of undefined constant wp_cumulus_widget - assumed 'wp_cumulus_widget' (this will throw an Error in a future version of PHP) in /home/mhd-01/www.robsom.org/htdocs/lafabbricadeisogni/wp-content/plugins/wp-cumulus/wp-cumulus.php on line 375
February « 2007 « La Fabbrica dei Sogni
Warning: call_user_func_array() expects parameter 1 to be a valid callback, no array or string given in /home/mhd-01/www.robsom.org/htdocs/lafabbricadeisogni/wp-includes/class-wp-hook.php on line 286

Archive for February, 2007

79th Academy Awards

Sunday, February 25th, 2007 by

Per gli amici: Oscar. Mancano poche ore all’inizio della magica notte e le abbondanti scorte di Sierra Nevada, popcorn e Chocolate Chip Vanilla Ice Cream verranno rimessi nell’armadietto (con accompagnamento di vigorose e fiorite caratterizzazioni della divinità come specie animali sessualmente attive), causa malattia. Qua siamo ben preparati per il più importante premio cinematografico del mondo, visto che abbiamo commentato e discusso molti dei nominati: il misterioso The Prestige, l’ammosciante La ricerca della felicità, il discusso An Inconvenient Truth, l’esagerato Maria Antonietta, i due pezzi da novanta The Departed e Babel, lo stiloso Il diavolo veste Prada e lo scanzonatissimo I pirati dei Caraibi: la maledizione del forziere fantasma.

Ce ne sono altri di cui per colpa di lavoro, malattie, casini e cazzi vari non siamo riusciti a parlare: The Last King of Scotland con uno strepitoso e inquietante Forest Whitaker (un attore tra più sottovalutati) nella parte del dittatore africano Idi Amin Dada. Un film che riesce a disturbare profondamente senza far vedere quasi niente e lasciando che sia lo spettatore a generare nella sua mente una violenza primitiva e brutale (Mel Gibson, impara!). Poi Children of Men lo spreco di una bellissima scenografia e una spettacolare fotografia per colpa di una sceneggiatura confusa e mediocre e personaggi piatti e stereotipati (anche se Michael Caine nella parte dell’hippie fa effettivamente ridere). Naturalmente Letters from Iwo Jima, la seconda parte della “bilogia” eastwoodiana su Iwo Jima, una storia di lacrime, sangue, sudore e polvere, la storia degli sconfitti. Potente e commovente, anche se forse fallisce nel trasmettere quanto sia stata furiosa e tenace la resistenza giapponese. Forse anche Blood Diamond, Gin?
E adesso vediamo chi vince e domani via di commenti.

Lo spettacolo comincia: le stelle sfilano sul tappeto rosso, Gwyneth Paltrow brutta tanto quanto Cate Blanchett è angelica, Leo DiCaprio a braccetto di mammà da bravo terruncello, Cameron Diaz, incapace di nascondere la sua bionditudine, saltella come una bimba, Jodie Foster è pettinata come il suo barboncino, Coppola va a braccetto con Lucas, Nicole Kidman mi fa sanguinare il cuore.

And the Oscar goes to…

UPDATE 1: voglio la testa di Céline Dion. Accompagnata dalla colonna sonora di Per un pugno di dollari.

UPDATE 2: i vincitori e alcune clip dei film.

eXistenZ

Sunday, February 25th, 2007 by

Non so perchè mi è tornato in mente questo film, sarà forse la giornata grigissima e deprimente, e il fatto che stamattina ho fatto un tratto di strada in auto totalmente immerso nella nebbia, che fa perdere del tutto i punti di riferimento. Sarà che l’altra sera con un paio di amici siamo finiti a parlare (complice una sostanza molto alcolica) di “realtà virtuale” e su che cavolo significhi l’accostamento delle due parole, il non-senso che creano… forse per tutti questi motivi che mi è tornato in mente questo film del 1999 del mitico Zio David (mitico almeno per me, perchè è un tizio che è riuscito a prendere una cosa del tutto disgustosa, riprovevole e insulsa come gli horror-movie di serie B, e trasformarli in discussioni filosofiche, dandogli dei contenuti che molti alti autori non riescono a mettere neppure in un film drammatico strappalacrime… insomma è riuscito ad elevare l’horror più truce a livello da cineforum e da festival del cinema, fate voi)
Se avete voglia di perdervi in un oscuro e nebbioso bosco, senza punti di riferimento e con la forte sensazione di non essere così sicuri di riuscire a trovare la strada di casa, questo è il film giusto. Direi anche che è adatto a tutti. Infatti non è, al contrario di molti altri film di Cronenberg, molto truculento nè vomitevole. Qualche scena è forse un pochino impressionante, ma niente di insopportabile.
In compenso la sensazione che il film riesce a dare, man mano che scorre, è quella giusta: è la sensazione di aver avuto una certezza fino a ieri inoppugnabile, ma di averla appena persa e non sapere bene dove sia finita. Forse sarà il caso di cercarla, a sapere dove è finita, ma con tutta questa nebbia…

La storia sembra mutuata da un libro di Philip Dick, ovviamente rivisitata abbastanza da renderla quel tantino lineare e fruibile, ma comunque oscura ed inafferrabile. Infatti siamo nel campo della “fantascienza cyber”, di cui l’autore americano è stato uno dei tanti iniziatori. Le affinità tematiche mi paiono abbastanza evidenti, non per nulla lo stesso Cronenberg pare abbia lavorato per un adattamento cinematografico de “Atto di Forza-Total Recall”, poi abbandonato in favore della produzione di Verhoeven, uscita nei cinema. Si vede che alcuni di quei temi gli sono restati sul groppo per un po’ di anni, prima di decidersi a farne un film.

Qui troviamo la solita scienza matrigna (tema ricorrente nei film di Cronenberg, probabilmente convinto che buona parte delle brutture del mondo arrivino da lì) che crea una nuova aberrazione a cui l’uomo si sottopone ciecamente, senza avere coscienza di quello che sta per fare. Una specie di treno che corre a folle velocità, pronto a deragliare.
In questo caso si tratta di un nuovo videogioco di realtà virtuale molto complesso, (il suo nome “eXistenZ” dà il nome al film) apparentemente semplice ed innocente come qualsiasi gioco può essere, in grado di ricreare in modo totale una nuova realtà. Lo strumento utilizzato per giocare è una specie di verme neuro-bio-elettronico (il Game-Pod, il nome non vi ricorda nulla?) che si attacca direttamente alla spina dorsale e che permette al programma di interagire direttamente col cervello delle persone che giocano. I due esseri, l’uomo e questo essere biotecnologico, diventano simbionti, si fondono fisicamente e psichicamente, facile metafora dell’uomo che non può più fare a meno della tecnologia. A questo punto chi entra nel gioco, perde completamente coscienza del mondo che sta fuori, per cui l’unica realtà, in quel momento, è quella del gioco.
Ovvio che una invenzione del genere sembra fatta apposta per fare un sacco di soldi, o per risolvere tanti problemi del mondo (la fuga dalla realtà, per qualcuno, è sempre un buon modo per risolverli) ma anche per infastidire qualcun’altro.
Nella sequenza di apertura del film (una sequenza davvero chiave, che va vista con attenzione) troviamo infatti la multinazionale Antenna che sta presentando ufficialmente il gioco al mondo intero in una conferenza stampa, con una decina di ignari che sperimenteranno per la prima volta su di loro il Game-Pod. A quel punto salta fuori dal nulla un gruppo terrorista armato, un gruppo di “neo-realisti” che si oppone alla “realtà finta” imposta dal gioco, per salvaguardare la “realtà vera”, quella fisica che tutti sperimentiamo. L’attentato diretto ad Allegra Geller, l’ideatrice del gioco, viene sventato, e questa è l’occasione per una delle sue guardie del corpo di entrare in un contatto più diretto e amichevole con lei, e di sperimentare per la prima volta il videogioco, che durante l’attentato potrebbe essersi rotto. E così, ecco che i nostri due eroi sono i primi umani ad essere proiettati in una realtà parallela alla nostra. Una realtà abbastanza simile alla nostra, ma sufficientemente diversa da essere distinta (le armi della realtà parallela, ad esempio, sono fatte di ossa umane e carne, e sparano denti, uno dei pochi richiami alle macabre nefandezze passate di zio David). Vivere lì dentro vuol dire avere uno scopo da portare a termine per vincere la partita. Anche la psicologia dei personaggi in questa realtà risulta mutata, in modo stravagante. Infatti il gioco ha delle tappe forzate da portare a termine, quindi alcune delle azioni e comportamenti dei personaggi non sono dati dalla loro volontà, ma da scelte forzate che devono essere comunque compiute per portare avanti il gioco. Questo fatto, a cui viene data sempre più rilevanza nel corso del film, è spiegato proprio dalla simbiosi totale che si viene a creare tra la bio-macchina e l’uomo, simbiosi soprattutto psichica, che addirittura prevede che ogni macchina abbia una propria “personalità nascosta” e quindi permetta di interagire in modo diverso col gioco. Per questo motivo il Game-Pod riesce a sostituirsi all’uomo in alcune scelte effettuate all’interno della realtà virtuale.

Il film, a dir la verità, descritto così può apparentemente sembrare meglio di quello che è, poichè procede in modo abbastanza neutro e forse perfino noioso per un po’, a parte le note di colore date dalle stravaganze insite nella realtà virtuale, che sono state concepite apposta per permettere di distinguere il gioco dalla realtà.
Tuttavia di tanto in tanto si ha la netta impressione di essersi persi qualcosa, che il film non sia così lineare come vuole sembrare, che il regista stia cercando di ingannarci… soprattutto la psicologia dei personaggi guidati in modo enigmatico dal gioco, diventa spesso qualcosa di inafferrabile (e anche insopportabile).
Ovviamente quando ci rendiamo conto di essere in mezzo alla nebbia, è tardi… si sa, la nebbia cresce pian piano, così piano che a volte ci si accorge che è arrivata solo quando non si vede più nulla; è inafferrabile e impalpabile, eppure nasconde tutto ai nostri occhi.
Anche la menzogna e la verità diventano così indistinguibili…

Che cosa è la realtà, possono esistere una “realtà vera” ed una “finta”, che cavolo di senso ha una distinzione del genere, la realtà è per forza di cosa quello che il nostro cervello ci fa vedere, o là fuori ne esiste davvero una? E ancora: esiste la coscienza, quella cosa che noi pensiamo essere la nostra più intima essenza, quella che ci permette di prendere delle decisioni, il nostro vero Io, oppure anche quella è una cavolata colossale, una comoda rassicurazione che ci permettere di sopravvivere fuori da un reparto psichiatrico, e c’è in realtà qualcun’altro che ci guida nelle nostre scelte e decide per noi?

Beh, tutte belle domande, ma non aspettatevi delle risposte. Siete finiti in un bosco nebbioso ed oscuro, ricordate?

– Allora, che te ne pare?
– Di cosa?
– Della tua vita reale, quella da cui sei apena arrivato?
– Mah… in questo momento mi sembra così irreale…

Nota: pare che il regista avesse intenzione di titolare il film “eXYstenZ”, ovvero con le tre lettere XYZ in maiuscolo, che come tutti sanno indicano 3 incognite spaziali. Chissà perchè alla fine ne sono rimaste solo due…

Short Message Service #3

Friday, February 9th, 2007 by

Nonostante le contromisure adottate la situazione degli spam nei commenti sta diventando ingestibile e io ho di meglio da fare nella mia vita che moderare e cancellare annunci di Viagra, foto sconce di Britney Spears e copie pirata di Windows Vista (sic!).
Perciò da ora in poi i commenti saranno ristretti. Niente di complicato: chi ha la password di autore deve solo loggarsi dentro :), gli altri dovranno avere il primo commento approvato e poi basta che usino sempre lo stesso nome ed email.

(Personalmente penso che gli spammer siano tra le più infime e disgustose forme di vita esistenti su questo pianeta (peggio delle tenie e di Buttiglione) e mi spiace solo non riuscire a immaginare torture adeguate che precedano il loro sterminio di massa, che mi auguro prossimo)

The Prestige

Tuesday, February 6th, 2007 by

Ovvero: stai guardando attentamente? locandina

L’incipit del film, riportato anche nella locandina, è una dichiarazione d’intenti palese da parte di Chris Nolan, uno degli autori-registi diventato “di culto” in pochissimo tempo negli ultimi anni. Anzi, diventato “di culto” da subito, fin dai tempi della sua prima apparizione dietro la macchina da presa, in combutta col fratello Jonathan Nolan, dietro le penne del soggetto e della sceneggiatura.
Uno dei film d’esordio, il loro, che fin da subito, e negli anni, ha mietuto sempre più fan, e che forse merita che ne parli più approfonditamente qui. Prossimamente.
Dopo una breve parentesi commerciale a cui ha partecipato solo Chris come regista (comunque degna di nota come si può leggere qui), ecco che i due tornano insieme, sempre dividendosi i compiti tra penna e macchina da presa (squadra che vince non si cambia), con la stessa identica voglia di stupire degli esordi, di giocare facendo carte false se necessario, di scombinare le carte del gioco, di ingannare.

Già, perché noi vogliamo essere ingannati, no? Tutto sommato, nella veste di cinefili-spettatori non possiamo negarlo, fa parte del gioco che è la stessa essenza del cinema.

Per dare una risposta apparentemente assurda ad una domanda incalzante, i fratelli Nolan confezionano uno dei film più eleganti, geniali e riusciti che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni, sinuoso, ammaliante, enigmatico al punto giusto. L’argomento è uno dei più adatti allo scopo: il mondo della magia, o meglio dei giochi di prestigio, il cui scopo è appunto quello di ingannare i sensi e la mente degli spettatori.
La storia vede due prestigiatori che si muovono in una Londra di fine ottocento. Essi passano presto da una fortuita quanto infelice collaborazione, ad una sfida dapprima timida, e poi via via sempre più aperta ed incalzante, cattiva, rabbiosa e infine tragica.
Uno (eccezionale Christan Bale, nei panni di Alferd Borden) povero e felice, con famiglia, l’altro (Hugh Jackman, nelle vesti di Robert Angier) ricco ma triste e solo per colpa del primo; uno con un forte senso di sfida innato che lo porta a cacciarsi nei guai, uno più posato ma non per questo meno determinato. Ognuno dei due vive la propria ossessione in modo totale: quella di riuscire a stupire di più, di essere partecipi con la propria intera esistenza al grande spettacolo della magia, di riuscire a carpire i trucchi dell’altro, di riuscire a trovare il gioco perfetto, quello che non potrà mai essere svelato.
Perché la magia si compone di tre parti, come recita un maestosoo Michael Caine nei panni di Cutter, assistente di Angier, all’inizio e alla fine del film, e la parte che fa diventare davvero grande un numero di magia è quella finale… quella della spiegazione che non c’è.
Così mentre Borden inventa un gioco apparentemente inspiegabile e di successo, il “trasporto umano”, Angier cerca di carpirne i segreti, riuscendo infine a riprodurlo e migliorarlo, rendendolo a sua volta ancora più misterioso. La chiave di volta di tutto è rappresentata dal personaggio, storicamente esistito, di Nikola Tesla, scenziato genialoide ed enigmatico interpretato da David Bowie (e chi se non lui?).

Ben presto dal gioco si passa alla vita, all’amore e alla morte. Dal momento in cui ci scappa il morto (uno, due, cento mille, chi può dirlo?), il film diventa una cosa seria, si trasforma in un thriller ammaliante ed enigmatico, quanto di meglio (o di peggio, dipende dai gusti) il cinema può tirare fuori dal cilindro.
Al tutto questo si aggiungono una sceneggiatura volutamente fumosa, che è stata concepita appositamente per occultare (Memento docet) più che per rendere le cose chiare, con salti temporali e buchi così palesi e teatrali da non poter essere altro che voluti. Il filo temporale della vicenda è dettato dalla lettura che ciascuno dei due prestigiatori fa del diario e degli appunti segreti e criptati dell’altro. Una cosa abbastanza difficile da spiegare ma anche da seguire, nel film.

E mentre si avvicina la fine, il film comincia ad apparire per quello che è. Non è una storia, non è un thriller, è semplicemente una specie di gioco di prestigio. Man mano che i due alzano il tiro e la storia si complica, man mano che le loro vite vengono assorbite dalla loro ossessione, ecco che il gioco diventa evidente ai nostri occhi.
Esattamente un gioco in in tre fasi: presentazione, accadimento imprevisto, finale.

Niente alla fine è quello che sembra, e di fatto non c’è un limite invalicabile. Volendo nel grande gioco della magia, ci può entrare anche la morte. Perché nel gioco non c’è mai una fine estrema, ma sempre e solo la fine di un semplice trucco che serve come punto di appoggio per presentarne uno ancora più grande e stupefacente.

“Alfred Borden, lei è stato condannato ad essere appeso per il collo, finchè morte non sopraggiunga. Ha un’ultima dichiarazione da fare?”
“Sì… abracadabra!”

Alla fine, come qualsiasi thriller che si rispetti, i trucchi saranno svelati e le domande avranno una risposta. Non tutte, vista la quantità di domande che si accavallano comunque sui forum e sui blog a tema. Un finale perfetto in ogni caso, con i giusti colpi di scena in sequenza.
Ma noi avremo davvero guardato con attenzione?
Nel momento in cui pensiamo di poter dare una risposta, ecco il vero colpo di scena.
Un colpo di scena che non è nulla di nuovo, già lo raccomandava Hitchcock, perché, diceva, è l’unico modo per non distruggere del tutto la magia e per permette allo spettatore di portarsene a casa un pezzettino.

A quel punto i Nolan si inchinano al loro pubblico, sorridono pensando che ce lo avevano detto fin dall’inizio ma per tutto il tempo abbiamo fatto finta di non saperlo, e poi fanno svanire il loro mondo nel nulla. Un finale così sottilmente geniale non mi capitava di vederlo da parecchio tempo, davvero… Il prestigio è riuscito ed è ovvio che ci piace così.
Lo sapevamo fin dall’inizio, leggendo sulla locandina “Stai guardando attentamente?”.

“Voi avete cercato di capire il trucco, ma non riuscite a trovarlo perchè in realtà non lo avete cercato per davvero. Per tutto il tempo avete fatto finta di guardare, perchè in realtà voi non volete scopirire il segreto, volete essere ingannati…”