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giallo/noir « La Fabbrica dei Sogni
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Archive for the ‘giallo/noir’ Category

Vertigo

Monday, July 5th, 2010 by

Con colpevole ritardo ma avendo forse acquisito la maturita’ mentale per apprezzare fino in fondo, sto gustando alcuni grandi classici del cinema, per fare un’esempio banale: Hitchcock. Che mi piacesse lo sapevo gia’ ma dopo aver visto recentemente Mr & Mrs Smith, The trouble with Harry, ma sopprattutto Vertigo e La finestra sul cortile, ho stabilito che devo assolutamente vederli tutti.

Che si puo’ dire di Vertigo che non sia gia’ stato scritto altrove? poco, probabilmente niente.
L’unica riflessione che voglio lasciare per convincervi a vederlo, se vi mancasse, e’ che un film del 1958, che dura piu’ di due ore e’ capace di incantare e di tenere vivissima l’attenzione senza un solo minuto di noia, giocando con la tua testa, inchiodandoti con domande a cui non rispondera’, lasciandoti quindi la possibilita’ di usare il neurone. Altro che 3D e film con un finale “idiot proof” in cui niente e’ lasciato all’immaginazione o alla perspicacia dello spettatore.
Vertigo incanta anche con scorci di San Francisco che lasciano senza fiato, la bravura di uno che non aveva photoshop.
Vertigo fa paura senza una solo scena violenta, senza una goccia di sangue. Il grande mistero di come lavora il cervello umano.
Vertigo ha pochissimo personaggi, diciamo tre piu’ un fantasma e nessuno di loro predomina in un’equilibrio perfetto di ruoli. Nell’ultima mezz’ora c’e’ una palpabile tensione sessuale, ovviamente senza che venga mostrato un solo centimetro di pelle, solo usando il cervello.

Se tutto questo non e’ genio, cos’e’?

Scottie: You shouldn’t keep souvenirs of a killing. You shouldn’t have been that sentimental.

Nero Wolfe: veleno in sartoria

Tuesday, January 27th, 2009 by

Da fan di Nero Wolfe non posso esimermi da questa minirecensione. In verita’ questa pellicola fa parte di una serie di film realizzati per la televisione dedicati ai romanzi di Rex Stout, film che nascono negli anni 60-70 e che sono ormai pezzi da museo e quindi posso considerarli degni di questo blog.
La prima cosa che colpisce è chiaramente lo stile di questi film, girati in bianco e nero, tempi lenti, musica assente, zero effetti speciali, girati praticamente sono in interni. In verita’ un effetto “speciale” l’hanno usato: quando Nero lascia la sua poltrona e cammina con fare minaccioso i suoi passi vengono sottolineati da una sorta di pernacchia sintetizzata. Non so, per l’epoca probabilmente era un’idea geniale, adesso fa un po’ come se Nero facesse le puzzette ad ogni passo.
Interessante la sigla iniziale, una ripresa aerea della New York degli anni 70, un bianco e nero molto affascinante, quasi alla Woody Allen, del resto NY è Allen.
Queste trasposizioni dei romanzi dell’intrattabile Nero sono fatte tutto sommato bene, posso fare dei piccoli appunti da lettrice: Nero nei romanzi è molto meno amichevole con le donne, diciamo pure che le teme e le detesta senza confini. Il suo rapporto con il segretario-tuttofare-donnaiolo Archie Goodwin forse poteva essere meglio sviluppato, perche’ fonte di parecchi divertenti episodi. Anche i deliziosi pranzetti preparati dal cuoco Fritz Brenner sono spesso solo citati di sfuggita. La passione del corpulento investigatore per le orchidee è ben rappresentata, anche se Nero non toccherebbe mai i fiori recisi con le mani nude; aggiungo che in questo episodio Archie annusa un’orchidea che per natura non ha nessun profumo, ma mi rendo conto: son cose da pignolina e soprattutto questi sono i limiti di una produzione televisiva degli anni 70.

La storia? senza fare spoiler nemmeno a chi volesse leggere l’omonimo romanzo da cui è tratto: una modella muore in una casa di moda uccisa da un confetto al cianuro destinato ad altri. Nero viene ingaggiato per risolvere il mistero, inutile dire che il suo intelletto lo porta furbescamente alla soluzione, sbaragliando l’impotente polizia di NY.

Pulp Fiction

Wednesday, July 18th, 2007 by

Non sono certo io che devo mettermi a fare la recensione o gli elogi di un film che tutti e quattro i frequentatori di questo blog conoscono quasi a memoria. Ma questa visione è stata speciale. Prima di tutto perchè si trattava della versione americana non censurata (Pulp Fiction ha un mare di versioni, censurate e non censurate: quella americana non censurata ha almeno una scena in più rispetto a quella italiana non censurata. Non chiedetemi perchè, le ragioni dei censori, nonchè la loro stessa esistenza, vanno al di là delle mie capacità di comprensione). Poi perchè questa visione si è svolta in questo fantastico anfiteatro all’aperto. Il tempio adatto per un’orda di cultori e fans venuti ad adorare San Quintino, che quando è comparso Harvey Keitel e ha detto: I’m Winston Wolfe. I solve problems. sono scoppiati in un boato che l’hanno sentito fino sulle Grandi Pianure.

Che dire? Pulp Fiction è come tutti i (pochi) film di Tarantino una summa della (sotto)cultura pop americana, e quindi, ormai, mondiale. E’ il prodotto di qualcuno che ha passato buona parte della sua esistenza a lavorare in un videostore guardando tutto ciò su cui riusciva a mettere le mani. E che, allo stesso tempo (e forse anche per questo), è anche parecchio, ma parecchio, fuori di testa. Ne vengono fuori questi film che sembrano un frullato di interi generi cinematografici in cui tutto è esasperato ed eccessivo, la violenza verbale e fisica è così esagerata che nemmeno fa impressione e le storie così surreali che hanno persino un loro senso. Insieme a colonne sonore da paura e un montaggio delle scene che sembra fatto con un generatore di numeri casuali. Ma per far funzionare un tale casino non basta essere un regista coi controcazzi. Bisogna anche essere un fottuto genio.

Jules: Whoa, whoa, whoa, whoa… stop right there. Eatin’ a bitch out, and givin’ a bitch a foot massage ain’t even the same fuckin’ thing.
Vincent: It’s not. It’s the same ballpark.
Jules: Ain’t no fuckin’ ballpark neither. Now look, maybe your method of massage differs from mine, but, you know, touchin’ his wife’s feet, and stickin’ your tongue in her Holiest of Holies, ain’t the same fuckin’ ballpark, it ain’t the same league, it ain’t even the same fuckin’ sport. Look, foot massages don’t mean shit.
Vincent: Have you ever given a foot massage?
Jules: Don’t be tellin’ me about foot massages. I’m the foot fuckin’ master.
Vincent: Given a lot of ’em?
Jules: Shit yeah. I got my technique down and everything, I don’t be ticklin’ or nothin’.
Vincent: Would you give a guy a foot massage?
Jules: Fuck you.
Vincent: You give them a lot?
Jules: Fuck you.
Vincent: You know, I’m getting kinda tired. I could use a foot massage myself.
Jules: Man, you best back off, I’m gittin’ a little pissed here.
Jules: Look, just because I don’t be givin’ no man a foot massage don’t make it right for Marsellus to throw Antwan into a glass motherfuckin’ house fuckin’ up the way the nigger talks. Motherfucker do that shit to me, he better paralyze my ass cuz I’ll kill the motherfucker, know what I’m sayin’?
Vincent: I ain’t saying it’s right. But you’re saying a foot massage don’t mean nothing, and I’m saying it does. Now look, I’ve given a million ladies a million foot massages, and they all meant something. We act like they don’t, but they do, and that’s what’s so fucking cool about them. There’s a sensuous thing going on where you don’t talk about it, but you know it, she knows it, fucking Marsellus knew it, and Antwan should have fucking better known better. I mean, that’s his fucking wife, man. He can’t be expected to have a sense of humor about that shit. You know what I’m saying?
Jules: That’s an interesting point. Come on, let’s get into character.

e il prossimo appuntamento a Red Rocks è The Shining 😉

The Maltese Falcon

Saturday, August 6th, 2005 by

A pochi uomini capita di diventare degli archetipi culturali. Ad Humphrey Bogart (mio mito personale dalla prima volta che ho visto Casablanca anni e anni fa) è capitato. Il suo Sam Spade del Falcone Maltese è diventato il prototipo del duro, cinico e disincantato, che ne ha viste di tutte e non si lascia più fregare da nulla e nessuno. Ma che in fondo, proprio in fondo, così in fondo che si capisce subito, non è così bastardo come ama far credere. Bogart ne farà il suo marchio di fabbrica, finendo indisolubilmente legato a questo tipo di personaggio nell’immaginario collettivo. E’ anche il film (e il romanzo) che segna la nascita del poliziesco/noir e l’abbandono dei detective “puliti” ed eleganti stile Conan Doyle e Agatha Christie sostituiti da una collezione di “perdenti” mezzi alcolizzati e dalla violenza facile. Trama coinvolgente, ritmo serrato, colpi di scena a manetta, questo è un film che ha stabilito gli standard di tutto un genere e dopo più di 6o anni il suo fascino è ancora intatto.

We didn’t exactly believe your story, Miss O’Shaughnessy, we believed your 200 dollars. I mean, you paid us more than if you had been telling us the truth, and enough more to make it alright.

Sin City

Tuesday, June 14th, 2005 by

In genere posso bullarmi di avere un intuito abbastanza buono per i film e raramente mi sbaglio sulla prima impressione (o magari più che intuito è semplice culo). Quando ho visto il trailer di Sin City ho pensato: “o è una cagata pazzesca (fantozzianamente parlando, è chiaro) oppure è un figata assurda”. La seconda che hai detto, per fortuna.

Al di là del fatto che la storia possa o meno piacere (è così estremamente e gratuitamente violento da dare persino fastidio all’inizio), è di sicuro uno dei film più innovativi e creativi degli ultimi anni. Miscela in modo incredibile le tecniche digitali con un uso magistrale del bianco/nero e soprattutto del colore (anzi delle macchie di colore) e riesce a rendere alla perfezione il mondo di china creato da Frank Miller (il Maestro che ha resuscitato Batman, mica cazzi), a dare l’impressione del fumetto senza diventare un cartone animato. La trama è così fedele all’originale che i fumetti possono quasi essere considerati la storyboard del film (l’unica dolorosa assenza: il topless di Jessica Alba, sigh sigh!) e per chi ama il tratto e il disegno di Miller è una vera goduria per gli occhi.

Con un cast d’eccezione per le mani, tra cui meritano una citazione speciale un redivivo Mickey Rourke, un inquietante Elijah Wood e una Jessica Alba così bella da far svenire, Rodriguez (con lo zampino di Tarantino, bizzarramente accreditato come special guest director) si sbizzarisce a intrecciare tre delle storie di Miller (The Hard Goodbye, The Big Fat Kill, That Yellow Bastard più una citazione da The Customer is Always Right). Un mondo perduto di killer e prostitute, poliziotti corrotti, potenti e ricchi psicopatici, spogliarelliste e maniaci, perchè se svolti l’angolo giusto a Sin City puoi trovare di tutto. Una Città del Peccato dove tutti sono “cattivi”, soprattutto i “buoni”, e dove non esiste speranza o possibilità di perdono. E dove il riscatto può passare improbabilmente attraverso una puttana che ha l’odore che dovrebbero avere gli angeli e per cui valga la pena morire, per cui valga la pena uccidere, per cui valga la pena andare all’inferno.
Amen.

An old man dies. A young girl lives. Fair trade.