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David Cronenberg « La Fabbrica dei Sogni
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Posts Tagged ‘David Cronenberg’

eXistenZ

Sunday, February 25th, 2007 by

Non so perchè mi è tornato in mente questo film, sarà forse la giornata grigissima e deprimente, e il fatto che stamattina ho fatto un tratto di strada in auto totalmente immerso nella nebbia, che fa perdere del tutto i punti di riferimento. Sarà che l’altra sera con un paio di amici siamo finiti a parlare (complice una sostanza molto alcolica) di “realtà virtuale” e su che cavolo significhi l’accostamento delle due parole, il non-senso che creano… forse per tutti questi motivi che mi è tornato in mente questo film del 1999 del mitico Zio David (mitico almeno per me, perchè è un tizio che è riuscito a prendere una cosa del tutto disgustosa, riprovevole e insulsa come gli horror-movie di serie B, e trasformarli in discussioni filosofiche, dandogli dei contenuti che molti alti autori non riescono a mettere neppure in un film drammatico strappalacrime… insomma è riuscito ad elevare l’horror più truce a livello da cineforum e da festival del cinema, fate voi)
Se avete voglia di perdervi in un oscuro e nebbioso bosco, senza punti di riferimento e con la forte sensazione di non essere così sicuri di riuscire a trovare la strada di casa, questo è il film giusto. Direi anche che è adatto a tutti. Infatti non è, al contrario di molti altri film di Cronenberg, molto truculento nè vomitevole. Qualche scena è forse un pochino impressionante, ma niente di insopportabile.
In compenso la sensazione che il film riesce a dare, man mano che scorre, è quella giusta: è la sensazione di aver avuto una certezza fino a ieri inoppugnabile, ma di averla appena persa e non sapere bene dove sia finita. Forse sarà il caso di cercarla, a sapere dove è finita, ma con tutta questa nebbia…

La storia sembra mutuata da un libro di Philip Dick, ovviamente rivisitata abbastanza da renderla quel tantino lineare e fruibile, ma comunque oscura ed inafferrabile. Infatti siamo nel campo della “fantascienza cyber”, di cui l’autore americano è stato uno dei tanti iniziatori. Le affinità tematiche mi paiono abbastanza evidenti, non per nulla lo stesso Cronenberg pare abbia lavorato per un adattamento cinematografico de “Atto di Forza-Total Recall”, poi abbandonato in favore della produzione di Verhoeven, uscita nei cinema. Si vede che alcuni di quei temi gli sono restati sul groppo per un po’ di anni, prima di decidersi a farne un film.

Qui troviamo la solita scienza matrigna (tema ricorrente nei film di Cronenberg, probabilmente convinto che buona parte delle brutture del mondo arrivino da lì) che crea una nuova aberrazione a cui l’uomo si sottopone ciecamente, senza avere coscienza di quello che sta per fare. Una specie di treno che corre a folle velocità, pronto a deragliare.
In questo caso si tratta di un nuovo videogioco di realtà virtuale molto complesso, (il suo nome “eXistenZ” dà il nome al film) apparentemente semplice ed innocente come qualsiasi gioco può essere, in grado di ricreare in modo totale una nuova realtà. Lo strumento utilizzato per giocare è una specie di verme neuro-bio-elettronico (il Game-Pod, il nome non vi ricorda nulla?) che si attacca direttamente alla spina dorsale e che permette al programma di interagire direttamente col cervello delle persone che giocano. I due esseri, l’uomo e questo essere biotecnologico, diventano simbionti, si fondono fisicamente e psichicamente, facile metafora dell’uomo che non può più fare a meno della tecnologia. A questo punto chi entra nel gioco, perde completamente coscienza del mondo che sta fuori, per cui l’unica realtà, in quel momento, è quella del gioco.
Ovvio che una invenzione del genere sembra fatta apposta per fare un sacco di soldi, o per risolvere tanti problemi del mondo (la fuga dalla realtà, per qualcuno, è sempre un buon modo per risolverli) ma anche per infastidire qualcun’altro.
Nella sequenza di apertura del film (una sequenza davvero chiave, che va vista con attenzione) troviamo infatti la multinazionale Antenna che sta presentando ufficialmente il gioco al mondo intero in una conferenza stampa, con una decina di ignari che sperimenteranno per la prima volta su di loro il Game-Pod. A quel punto salta fuori dal nulla un gruppo terrorista armato, un gruppo di “neo-realisti” che si oppone alla “realtà finta” imposta dal gioco, per salvaguardare la “realtà vera”, quella fisica che tutti sperimentiamo. L’attentato diretto ad Allegra Geller, l’ideatrice del gioco, viene sventato, e questa è l’occasione per una delle sue guardie del corpo di entrare in un contatto più diretto e amichevole con lei, e di sperimentare per la prima volta il videogioco, che durante l’attentato potrebbe essersi rotto. E così, ecco che i nostri due eroi sono i primi umani ad essere proiettati in una realtà parallela alla nostra. Una realtà abbastanza simile alla nostra, ma sufficientemente diversa da essere distinta (le armi della realtà parallela, ad esempio, sono fatte di ossa umane e carne, e sparano denti, uno dei pochi richiami alle macabre nefandezze passate di zio David). Vivere lì dentro vuol dire avere uno scopo da portare a termine per vincere la partita. Anche la psicologia dei personaggi in questa realtà risulta mutata, in modo stravagante. Infatti il gioco ha delle tappe forzate da portare a termine, quindi alcune delle azioni e comportamenti dei personaggi non sono dati dalla loro volontà, ma da scelte forzate che devono essere comunque compiute per portare avanti il gioco. Questo fatto, a cui viene data sempre più rilevanza nel corso del film, è spiegato proprio dalla simbiosi totale che si viene a creare tra la bio-macchina e l’uomo, simbiosi soprattutto psichica, che addirittura prevede che ogni macchina abbia una propria “personalità nascosta” e quindi permetta di interagire in modo diverso col gioco. Per questo motivo il Game-Pod riesce a sostituirsi all’uomo in alcune scelte effettuate all’interno della realtà virtuale.

Il film, a dir la verità, descritto così può apparentemente sembrare meglio di quello che è, poichè procede in modo abbastanza neutro e forse perfino noioso per un po’, a parte le note di colore date dalle stravaganze insite nella realtà virtuale, che sono state concepite apposta per permettere di distinguere il gioco dalla realtà.
Tuttavia di tanto in tanto si ha la netta impressione di essersi persi qualcosa, che il film non sia così lineare come vuole sembrare, che il regista stia cercando di ingannarci… soprattutto la psicologia dei personaggi guidati in modo enigmatico dal gioco, diventa spesso qualcosa di inafferrabile (e anche insopportabile).
Ovviamente quando ci rendiamo conto di essere in mezzo alla nebbia, è tardi… si sa, la nebbia cresce pian piano, così piano che a volte ci si accorge che è arrivata solo quando non si vede più nulla; è inafferrabile e impalpabile, eppure nasconde tutto ai nostri occhi.
Anche la menzogna e la verità diventano così indistinguibili…

Che cosa è la realtà, possono esistere una “realtà vera” ed una “finta”, che cavolo di senso ha una distinzione del genere, la realtà è per forza di cosa quello che il nostro cervello ci fa vedere, o là fuori ne esiste davvero una? E ancora: esiste la coscienza, quella cosa che noi pensiamo essere la nostra più intima essenza, quella che ci permette di prendere delle decisioni, il nostro vero Io, oppure anche quella è una cavolata colossale, una comoda rassicurazione che ci permettere di sopravvivere fuori da un reparto psichiatrico, e c’è in realtà qualcun’altro che ci guida nelle nostre scelte e decide per noi?

Beh, tutte belle domande, ma non aspettatevi delle risposte. Siete finiti in un bosco nebbioso ed oscuro, ricordate?

– Allora, che te ne pare?
– Di cosa?
– Della tua vita reale, quella da cui sei apena arrivato?
– Mah… in questo momento mi sembra così irreale…

Nota: pare che il regista avesse intenzione di titolare il film “eXYstenZ”, ovvero con le tre lettere XYZ in maiuscolo, che come tutti sanno indicano 3 incognite spaziali. Chissà perchè alla fine ne sono rimaste solo due…

A history of violence

Tuesday, January 17th, 2006 by

… ovvero, “che è accaduto a zio David”?
Film diretto da un irriconoscibile David Cronenberg, che in passato ci ha abituato a ben altro, e che ha trasferito i suoi temi più cari in un contesto forse già troppo utilizzato, e per questo un po’ deludente.
Dopo aver, nella sua storia cinematografica, raccontato di orribili mutazioni provocate dal dannato progresso scientifico (quasi sempre lui il colpevole e l’artefice di tutto, sia direttamente, agendo come causa prima della trasformazione come in “La mosca“, che indirettamente, agendo sulla psiche dei personaggi e modificandone il comportamento e la percezione della realtà, come in “eXistenZ“); dopo aver descritto il disfacimento del corpo umano a dare nuove forme organiche di vita (“Rabid“) o a dare nuove forme di percezione e conoscenza (il mitico “Videodrome“); dopo aver trasferito questi stessi temi dall’esterno del corpo umano, all’interno della psiche, descrivendo nei minimi dettagli i processi di demolizione e ricostruzione della realtà (“Spider” o il bellissimo “Madame Butterfly“, forse anche l’enigmatico ed oscuro “Il pasto nudo“), ora che resta?
Nel suo personalissimo percorso che l’ha portato ad interiorizzare via via sempre di più le sue fobie e paranoie, che hanno sempre posto attenzione al fatto che tutto ciò che si crede inviolabile, solido ed immutabile, in realtà è mutabilissimo, Cronenberg ci ha detto che il nostro corpo non è una casa sicura. Poi è arrivato a dirci che nemmeno il mondo in cui crediamo di vivere, la cosiddetta “realtà”, è una cosa sicura, perchè lo filtriamo tutto quanto attraverso la conoscenza data dai nostri sensi, che sono fallaci ed ingannabili per loro natura. Infine ci ha detto che neppure la nostra mente è una casa sicura, anzi che è proprio lei quella che ci gioca gli scherzi peggiori. Ora vorrebbe dirci che quella che crediamo essere la nostra identità, il nostro vero io, ebbene, nemmeno quello può essere una cosa certa e definita.
La storia è infatti quello di un buon padre di famiglia, la cui esistenza viene descritta in tutta la sua noiosissima tranquillità, fino al momento in cui dei gangster irrompono nel bar gestito dalla famiglia, e lui è costretto a difendere la sua e la loro tranquillità. Ma come è possibile che un uomo così buono e “normale”, possa trasformarsi in una così efficiente macchina di morte? E se è possibile, cosa mai può nascondersi dietro? Forse una identità segreta, tenuta ben nascosta in tutti questi anni? O qualcosa di più?
Da questa serie di inquietanti interrogativi, David Cronenberg parte per una delle sue spedizioni ai confini della realtà. Tuttavia questa volta mancano molti aspetti che hanno sempre reso i suoi film fastidiosi, disturbanti e profondamente inquietanti.
Nei film di Cronenberg viene sempre descritta una realtà che segue regole proprie. Gli oggetti e le persone che si muovono nelle sue storie, seguono regole fisiche e chimiche non corrispondenti al nostro mondo. I personaggi seguono regole sociali e morali ben diverse da quelle a cui siamo abituati noi, e che alcuni definirebbero come “moralmente ignobili”, e spesso anche percorsi psicologici e sentimentali che noi saremmo abituati a definire come “patologici”. E’ impossibile un processo di identificazione dello spettatore coi personaggi, e il regista non vuole certo fare questo. Anzi, il regista vuole essere una specie di documentarista, che con occhio freddo e distaccato ci vuole descrivere quello che accade nella “sua realtà”.
L’elemento di disturbo è dato, oltre che dagli orrori fisici, spesso descritti con cinismo e ricchezza di dettagli, e dalle elucubrazioni psicotiche che spesso si chiudono su se stesse senza dare alcuna via di sbocco, proprio dal fatto che il regista racconta tutto questo come se fosse normale. Non ne spiega il motivo, perchè non c’è niente da spiegare. Quello che viene mostrato è solo la realtà, una realtà normalissima, quasi noiosa, per il regista, mentre lo spettatore, abbandonato a se stesso, si rende conto che per lui non lo è affatto, e non sempre ne comprende le regole. Non c’è identificazione, c’è anzi la ferrea certezza che il regista stia semplicemente descrivendo una cosa VERA, e che noi troviamo incomprensibile se non ripugnante, mentre quella che viviamo noi tutti i giorni potrebbe essere una rassicurante menzogna.
Il senso di straniamento di fronte a questo è spesso molto forte, e in questo è sempre stata la bravura del regista, unico nel suo genere, che è riuscito negli anni ad elevare il genere “horror” al rango di genere filosofico da cineforum (ho visto coi miei occhi signore di mezza età sconvolte nelle loro certezze, discutere sul significato della parola “realtà”).
Tutto questo, anche se in forme molto edulcorate rispetto al passato, era ancora rilevabile nelle ultime produzioni; in “History of Violence” sembra sparire del tutto. Perchè il film comincia con qualcosa che non era mai stato fatto in precedenza, ovvero con un processo di indentificazione del personaggio principale con lo spettatore.
Il gioco di Cronenberg poteva essere geniale e quasi ancora più perverso dei precedenti. Poteva essere un:”Prima vi lascio credere di stare facendo un film normale, con personaggi normali, come non ne avete mai visti, e vi ci faccio identificare. Poi vi dimostro che quella che voi chiamate “identità” sono tutte balle!”.. Poteva farlo ma non lo fa. Manca del tutto la voglia di trascinare lo spettatore in qualche strano gioco mentale.
Alla fine resta un buon noir, a tratti stranamente ironico, a tratti noioso, che pone accento su alcune tematiche interessanti su cosa significa costruirsi una falsa identità, ed arrivare a crederci al punto da sentirla come la propria identità vera (relegando quindi l’identità precedente al ruolo di “falsa”. Ma se ci pensate bene questo non ha significato logico.. dire che esiste una “identità falsa”, è come dire che, gratta gratta, lo sono tutte). E soprattutto un interessante discorso su cosa sia la felicità e cosa significhi essere felici. Essere felici, come lo intendiamo noi, è solo un inganno? E’ solo una imposizione che ci diamo, applicandoci schemi precostituiti di felicità, o esiste davvero? Il film non da una risposta precisa, e il finale (che tende all’happy end) proprio per questo è a suo modo crudele. Ma questo non basta a far dire di aver visto un buon film di Cronenberg. Evidentemente stavolta zio David era andato a farsi un giro.. speriamo che torni presto! 😉

“Dovrebbe chiedere a suo marito dove ha imparato ad uccidere così bene le persone…”