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Federico Zampaglione « La Fabbrica dei Sogni
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Shadow

Saturday, October 23rd, 2010 by

Di recente ho sostenuto la tesi per cui l’horror è diventato un genere assolutamente in voga, quasi preponderante nelle produzioni internazionali di mezzo mondo. Negli anni duemila, dopo quasi 15 anni di morte apparente, ecco che la realtà si fa meno rassicurante di come la si dipingeva negli edonistici anni ’80. La realtà all’improvviso si impregna di parole come “guerra” e “terrorismo”, ci si sveglia dal sogno e ci si ritrova catapultati in un mondo che è ben più brutto di quello che si era immaginato o sognato.
Di fronte a questo brusco risveglio, anche il cinema torna sui suoi passi, sfodera le armi migliori e riprende a sfruttare il suo potenziale, per andare a risvegliare il più atavico tra tutti i sentimenti umani, quello della paura.

Fino ad ora il cinema di mezzo mondo era andato dietro a questa ondata di terrore. Mezzo mondo tranne l’Italia. Proprio l’Italia, che negli anni ‘70 era stata una delle principali scuole a livello mondiale per il cinema di paura, da più di venti anni giaceva ancora sopita, avvolta nelle sue rassicuranti commedie sentimentali, nei film sui drammi generazionali e nella comicità da panettone.

E’ ridicolo che proprio l’Italia sia stata l’ultima a risvegliarsi dal letargo, ma finalmente qualcosa si è mosso. Non tanto perché Shadow costituisce di fatto il primo film horror italiano serio da venti anni a questa parte, in grado di tenere testa a molta produzione internazionale, sia per i mezzi utilizzati (di tutto rispetto), sia per il budget impiegato (segno che dietro c’era qualcuno che ci credeva), sia per il contenuto emotivo e metaforico.
Il vero dato di fatto da evidenziare è un altro, perché bisogna ammettere che non a tutti può piacere il genere e quindi non ci si può limitare ad esultare per la sua rinascita. Questo film può costituire un indizio sul fatto che finalmente siamo pronti ad uscire dal nostro bozzolo rassicurante fatto di piccoli drammi di tutti i giorni, di realtà provinciali, e siamo pronti a guardare in faccia alla realtà un pochino più grande e spaventosa, di quella che possiamo trovare nel nostro orticello. Il cinema è una specchio culturale incredibile, mostra quello che scorre nella testa e nel cuore delle persone. Il fatto che qualcuno, anche in Italia, abbia preso in considerazione l’idea di produrre e dirigere un film poco rassicurante, spero sia indice di un nuovo corso, in cui la voglia non sia quella di farsi solo cullare dal cinema, ma quello di analizzare la realtà, guardandola in faccia per quella che è.

E’ abbastanza stravagante che il primo italiano a volersi cimentare in grande stile sia stato Federico Zampaglione, già noto musicista, cantante e leader dei Tiromancino. Proprio lui che ci aveva abituato con la sua musica ad essere rassicurati da melodie sentimentali. Strano ma vero. Di recente Zampaglione si è riscoperto regista per passione (già era regista dei videoclip del gruppo) ed ha decisamente cambiato genere, sia con il suo film di esordio (Nero Bifamiliare, una commedia grottesca-noir) e ancora di più con questo Shadow, di cui ha scritto anche il soggetto e la sceneggiatura.

Un progetto del tutto originale, quindi, che parte dal punto più facile da cui potrebbe partire: rifacendosi ai gradi italiani del passato, come Mario Bava o Lucio Fulci, e “mostri sacri” nel mondo dell’horror come Non aprite quella porta”.

Altro punto fermo da cui ripartire era la realtà degli anni 2000. Realtà che il cinema avrebbe il compito di analizzare attentamente. Il film è diviso in tre parti molto diseguali tra loro e la prima parte è ambientata, pensa un po’… in Iraq.
Troviamo il protagonista, David, un ragazzo in missione in Iraq, mentre sta scrivendo una lettera a casa. Gli orrori della guerra sono troppi e troppo forti, sia quelli lontani che quelli vicini a lui. Si sa che spesso l’orrore ne chiama altro. Il desiderio è quello di fuggire anche dai suoi compagni e da tutta la situazione alienante che solo una guerra può portare.
Il desiderio presto si realizza, David torna a casa e si prende una lunga pausa di riflessione sulle Shadow Hills, una fantomatica località frequentata dai bikers, dai panorami mozzafiato, sita da qualche parte nel centro dell’Europa. Solo lui e la sua bicicletta, nei boschi, dove poter avere tutto il tempo necessario per dimenticare quello che ha visto e tornare a fare pace con il mondo. Su queste colline trova Angeline, una ragazza anche lei sola con la sua bicicletta e con il suo fardello di problemi da dimenticare, in cerca di un luogo dove poter fuggire.
I due inevitabilmente decidono di condividere questo solitario momento di fuga e per un po’ l’idillio sembra funzionare. Ma ben presto la realtà torna a chiedere il suo tributo di orrore. I due vengono prima presi di mira da due spietati cacciatori del luogo, che considerano quelle montagne come il loro territorio di caccia, i due ragazzi in bicicletta come le loro prede e l’attività di inseguimento come un macabro gioco. Così la fuga dalla realtà di trasforma in una fuga molto più materiale e meno figurata, un nuovo inseguimento e una lotta per la vita che si fanno sempre più estremi e senza senso.
Ma la fine di un orrore è solo il principio per un orrore ancora più grosso. Questo sembra voler sottolineare continuamente il film. E così, lo schema che si è già proposto nel passaggio tra la guerra in Iraq e la violenza senza senso tra i boschi, è pronto a ripresentarsi di nuovo quando tutti e quattro, sia le prede che i cacciatori, finiscono catturati da un essere misterioso che ha preso dimora nei boschi delle montagne di Shadow. Un essere tanto grottesco quanto disumano (che ruolo avreste fatto mai interpretare a Nuot Arquint, attore svizzero che nella realtà ha questa faccia qui?), che li incatena nella sua casa con il solo intento di torturarli, farli a pezzi e cibarsi di loro. I quattro dovranno inevitabilmente allearsi per poter fuggire, anche se l’impresa sembra diventare subito più grande di quel che sembra, visto che l’essere misterioso sembra avere della capacità che davvero non sono umane. Chi o cosa è davvero?

Finale azzeccato, che nei tre livelli di discesa agli inferi che il film propone, costituisce il vertice più basso. Forse non originale al 100%, ma comunque non così abusato da non sembrare originale.

Dal punto di vista tecnico il film non si risparmia. Come dicevo poco sopra, si vede che qualcuno ci ha creduto. Moltissime delle scene girate realmente nei boschi (anche scene di inseguimento molto veloci con i due protagonisti in bicicletta), sono tecnicamente eccellenti in ogni aspetto.
Lo stile è, come la storia, diviso in parti diseguali che impongono un crescendo emotivo, man mano che propongono un orrore diverso dal precedente. Prima l’orrore alienante della guerra, moralmente disgustosa, poi l’orrore fisico ancora più basilare, quello dell’istinto di sopravvivenza e dell’adrenalina di fronte ad una violenza che non ha un motivo, ed infine l’orrore metafisico di qualcosa che sfugge alla comprensione umana… quest’ultimo proposto nel film con uno stile lisergico ed alienato. La lunga scena dell’essere misterioso che lecca un rospo e finisce in preda alle allucinazioni mentre si prepara a torturare le sue vittime, è originalissima e da sola vale il biglietto. E fa capire che l’horror italiano sta provando a rinascere ed è partito con il piede giusto.

PS: una piccola nota, che può anche costituire una curiosità sul film. L’essere abominevole ha un nome, che viene rivelato solamente nei titoli di coda, nell’elenco degli attori e dei rispettivi personaggi. Il motivo per cui non viene detto prima del finale, ma solo DOPO il finale è facile da capire, tuttavia molti siti internet risportano bellamente il nome del personaggio. Forse era un motivo facile da capire, ma non da tutti…