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Florian Henckel von Donnersmarck « La Fabbrica dei Sogni
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Das Leben der Anderen

Saturday, March 31st, 2007 by

Ovvero, Le vite degli altri, il vincitore dell’Oscar come miglior film straniero di quest’anno. E’ un inquietante quadro della vita nella Germania Est: lungo, lento, grigio, pesante. Non è un difetto. Voluto o meno che sia, l’effetto è di creare un’atmosfera opprimente che trasmette tutto il senso del film: lo squallore, la povertà, l’angosciante onnipresenza del Partito e della Polizia Segreta nella vita di ogni suddito cittadino della DDR.
Basato su interviste a vittime ed ex-agenti della Stasi il film si concentra su una coppia di artisti di Berlino Est, messi sotto sorveglianza più per soddisfare un potente membro del Comitato Centrale del Partito che per effettiva “devianza” politica. Molto accurato nell’ambientazione e nei dettagli, a dieci minuti dall’inizio ci si ritrova dentro l’incubo orwelliano partorito da uno dei più rigidi regimi comunisti del dopoguerra.

Ciò che stupisce, e continua a stupire nonostante l’ampia pubblicità data dopo il crollo della DDR, è l’estensione dell’organizzazione messa in campo per contrastare il “nemico imperialista”. La Stasi impiegava 100mila agenti, che significa quasi uno ogni 200 cittadini. Un numero spropositato. Un sistema folle, che teneva letteralmente sotto controllo ogni singolo individuo, riportando in lunghissimi, e presumibilmente noiosissimi, rapporti tutti i più minuscoli e insignificanti dettagli della vita di ognuno. La cosa ironica (la Storia, si sa, ha un gran senso dell’umorismo) è che l’apparente successo di questo immane sforzo e dispiegamento di risorse umane e materiali era la manifestazione più evidente del fallimento disastroso del sistema che si proponeva di proteggere. Ma alla fine c’e sempre una crepa da qualche parte. Aperta dalla potenza dell’Arte, magari, o solo dalla disillusione di chi ci credeva veramente.

Gli immensi archivi in cui Georg si avventura alla fine possono apparire il pazzesco prodotto di una burocrazia impazzita, ma non sono un fossile o una curiosità storica. Non in tempi in cui si parla di Total Information Awareness come di una ragionevole (o necessaria) possibilità.

Sai cosa diceva Lenin dell’Appassionata di Beethoven? “Se continuo ad ascoltarla non finirò la rivoluzione”.
Può qualcuno che ha ascoltato, veramente ascoltato, questa musica essere davvero una cattiva persona?