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Stephen Fry « La Fabbrica dei Sogni
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V for Vendetta

Saturday, November 11th, 2006 by

Remember, remember, In Flanders fields the poppies blow
The Fifth of November,
The Gunpowder Treason and Plot
I know of no reason
Why the Gunpowder Treason
Should ever be forgot

Non ci siamo dimenticati del 5 di Novembre. Ma abbiamo deciso di ricordarlo insieme a un altro giorno che non dovrebbe mai essere dimenticato. Quando vivevo nella perfida Albione andavo in giro a chiedere a quelli che mi capitavano a tiro se quello che festeggiavano durante la Notte dei Falò era l’idea di far saltare per aria il Parlamento oppure il fallimento di questo tentativo. Non posso più mettere in imbarazzo i nativi e farli diventare tutti rossi e quindi quale modo migliore di celebrare che una sesta visione del film che offre una risposta a questa domanda?

A me i fratelli W., lo ammetto, stanno vigorosamente sulle balle: due che sono riusciti a sputtanare in così malo modo un’idea geniale come Matrix andrebbero offerti in sacrificio umano alla Dea del Cinema. Devo però concedere che sotto l’apparenza del blockbuster, tra esplosioni, sparatorie, inseguimenti, effetti specialissimi e combattimenti splendidamente coreografati sono capaci di parlare di filosofia, religione, storia, politica e altri argomenti “pesi” in modo profondo e intelligente. Valeva in Matrix (nonostante lo scempio fatto) vale ancora di più in V. Fare un film su un terrorista anarchico in anni come questi richiede indubbiamente una buona dose di coraggio. Per farlo bene, costringendo a pensare un pubblico mediamente refrattario a farlo, bisogna essere bravi.

Non che l’adattamento di V sia del tutto indolore. Perchè ripulire e correggere il carattere di Evey, perchè le suggestioni romantiche? Perchè, poi, “scostare” la maschera e accennare a cosa c’e’ dietro? Chiedere a un uomo mascherato chi sia è un paradosso. Centrare il personaggio di V su questo paradosso permette di giocare sulla scissione tra l’uomo e l’idea, confondendo il messaggio originale che sono le idee che contano (“Beneath this mask there is more than flesh. Beneath this mask there is an idea, Mr. Creedy, and ideas are bulletproof!”). Voler “umanizzare” un personaggio troppo difficile da gestire mette in difficoltà i presupposti filosofici della sua storia. Tutto sommato, e nonostante Alan Moore l’abbia ripudiata (per motivi che sembrano comunque indipendenti dal film stesso), questa è comunque la cosa migliore che Hollywood abbia sfornato dal 2003 in qua.
Il tema del vendicatore mascherato che si incarica di ristabilire i diritti del popolo oppresso non è certo nuovo (Zorro, Batman, etc…), ma V è un vendicatore molto diverso dagli altri. Teatrale e sopra le righe, folle e mostruosamente razionale, non si preoccupa di mascherare o giustificare le sue azioni con nobili cause. Vuole l’anarchia e la sua vendetta personale. Mostro, pazzo, terrorista o eroe?
A ciascuno il suo: V non chiede di essere visto o giudicato in un certo modo, così come non cerca di imporre le sue idee o la sua agenda.

V for Vendetta è soprattutto un film politico: “People should not be afraid of their governments. Governments should be afraid of their people”. Quello che Moore scrisse negli anni del thatcherismo rampante assume oggi un significato totalmente diverso e molto più inquietante. Il cambio d’atmosfera nel film rispetto al fumetto è molto significativo. Gli aspetti più estremi della distopia di Moore sono stati diluiti e quella che in cui si muove il V del film può essere descritta più come uno stato autoritario che come una dittatura fascista. Una visione meno nera di quella originale, ma anche molto più realistica e più attuale. Un’evoluzione della società in una autocrazia “conservatrice” grazie alla lenta e costante erosione dei diritti civili, della privacy e alla manipolazione dei mezzi di comunicazione è molto più probabile che non la nascita di una vera e propria dittatura nel senso tradizionale del termine. Questo è, in effetti, quello che sta succedendo proprio adesso.
Infatti i riferimenti all’attualità si sprecano: dalla fobia islamica all’influenza aviaria, dagli allarmismi ecologici alle campagne anti-gay, dall’emergenza del terrorismo alla distorsione del linguaggio: in cambio di protezione e sicurezza (fittizie) si chiede di “limitare” o rinunciare ad alcuni diritti Ma è un patto con il diavolo (non a caso i riferimenti a Faust e a MacBeth).
C’è qualcosa di terribilmente sbagliato in questo paese. E in questo mondo. Forse qualcuno ne è più responsabile di altri, ma se cerchiamo il colpevole…
… dobbiamo solo guardare nello specchio.

Solo che a noi non verrà nessuno a salvarci.

Our integrity sells for so little, but it is all we really have. It is the very last inch of us. But within that inch we are free.

The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy

Sunday, June 19th, 2005 by

Trasportare in un film l’assurdo universo creato da Douglas Adams sembrerebbe impresa impossibile. Non solo non c’è una trama vera e propria (Adams stesso definì il suo romanzo “un lunga introduzione seguita da una improvvisa conclusione”), ma rappresentare sullo schermo tutte le cervellotiche, paradossali, surreali e sempre geniali trovate dei libri metterebbe alla prova perfino il più allucinato dei registi. The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy è uno di quei rari casi in cui il libro originale non è stato violentato dal film, in parte perchè Adams stesso ha lavorato alla sceneggiatura, in parte perchè è nato come spettacolo radio prima ancora che come libro e in parte perchè la storia è talmente vaga da essere un semplice pretesto per la più geniale parodia della fantascienza (ma non solo) che sia mai stata fatta. E il film è decisamente all’altezza, compensando con effetti speciali spettacolari (grandiosa la visita alla fabbrica di pianeti di Magrathea) le lunghe digressioni surreali di Adams, purtroppo impossibili da rendere sullo schermo.

Alla ricerca della domanda alla risposta sulla Vita, l’Universo e Tutto Quanto (nonchè di una tazza di the decente), tra Presidenti Galattici fuori di teste, robot paranoici in depressione cronica, topi, delfini, astronavi improbabili (letteralmente), seguaci di strane religioni “nasali”, autostrade iperspaziali, fabbricanti di pianeti specializzati in fiordi, ottusi burocrati alieni dalla micidiale poesia e autostoppisti galattici guidati dal libro più immensamente utile di tutto l’Universo.

Naturalmente non è solo una parodia dei luoghi comuni e degli stereotipi della fantascienza. E’ anche amore per i paradossi e i giochi di parole, e soprattutto satira sociale e di costume, come nella grande tradizione britannica di Lewis Carroll e P.G. Woodhouse. Sì, perchè il film (come il libro) andrebbe visto (letto) in lingua originale per poterne apprezzare in pieno le sfumature, le sottigliezze, i modi di dire, i giochi di parole, così tanto “inglesi” da dargli un’atmosfera tutta particolare che è un peccato perdere. Senza contare le bravissime voci di Stephen Fry (la Guida) e di Alan Rickman (Marvin il robot). Forse ci vuole un certo sforzo, anche se l’inglese del film è abbastanza facile, ma ne vale la pena.
E poi, come dice la Guida: Don’t Panic!

According to the Hitchhiker’s Guide to the Galaxy, the best drink in the known universe is the Pan-Galactic Gargle Blaster. It has the effect of having your brains smashed out with a slice of lemon… wrapped around a large gold brick.