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Viggo Mortensen « La Fabbrica dei Sogni
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A history of violence

Tuesday, January 17th, 2006 by

… ovvero, “che è accaduto a zio David”?
Film diretto da un irriconoscibile David Cronenberg, che in passato ci ha abituato a ben altro, e che ha trasferito i suoi temi più cari in un contesto forse già troppo utilizzato, e per questo un po’ deludente.
Dopo aver, nella sua storia cinematografica, raccontato di orribili mutazioni provocate dal dannato progresso scientifico (quasi sempre lui il colpevole e l’artefice di tutto, sia direttamente, agendo come causa prima della trasformazione come in “La mosca“, che indirettamente, agendo sulla psiche dei personaggi e modificandone il comportamento e la percezione della realtà, come in “eXistenZ“); dopo aver descritto il disfacimento del corpo umano a dare nuove forme organiche di vita (“Rabid“) o a dare nuove forme di percezione e conoscenza (il mitico “Videodrome“); dopo aver trasferito questi stessi temi dall’esterno del corpo umano, all’interno della psiche, descrivendo nei minimi dettagli i processi di demolizione e ricostruzione della realtà (“Spider” o il bellissimo “Madame Butterfly“, forse anche l’enigmatico ed oscuro “Il pasto nudo“), ora che resta?
Nel suo personalissimo percorso che l’ha portato ad interiorizzare via via sempre di più le sue fobie e paranoie, che hanno sempre posto attenzione al fatto che tutto ciò che si crede inviolabile, solido ed immutabile, in realtà è mutabilissimo, Cronenberg ci ha detto che il nostro corpo non è una casa sicura. Poi è arrivato a dirci che nemmeno il mondo in cui crediamo di vivere, la cosiddetta “realtà”, è una cosa sicura, perchè lo filtriamo tutto quanto attraverso la conoscenza data dai nostri sensi, che sono fallaci ed ingannabili per loro natura. Infine ci ha detto che neppure la nostra mente è una casa sicura, anzi che è proprio lei quella che ci gioca gli scherzi peggiori. Ora vorrebbe dirci che quella che crediamo essere la nostra identità, il nostro vero io, ebbene, nemmeno quello può essere una cosa certa e definita.
La storia è infatti quello di un buon padre di famiglia, la cui esistenza viene descritta in tutta la sua noiosissima tranquillità, fino al momento in cui dei gangster irrompono nel bar gestito dalla famiglia, e lui è costretto a difendere la sua e la loro tranquillità. Ma come è possibile che un uomo così buono e “normale”, possa trasformarsi in una così efficiente macchina di morte? E se è possibile, cosa mai può nascondersi dietro? Forse una identità segreta, tenuta ben nascosta in tutti questi anni? O qualcosa di più?
Da questa serie di inquietanti interrogativi, David Cronenberg parte per una delle sue spedizioni ai confini della realtà. Tuttavia questa volta mancano molti aspetti che hanno sempre reso i suoi film fastidiosi, disturbanti e profondamente inquietanti.
Nei film di Cronenberg viene sempre descritta una realtà che segue regole proprie. Gli oggetti e le persone che si muovono nelle sue storie, seguono regole fisiche e chimiche non corrispondenti al nostro mondo. I personaggi seguono regole sociali e morali ben diverse da quelle a cui siamo abituati noi, e che alcuni definirebbero come “moralmente ignobili”, e spesso anche percorsi psicologici e sentimentali che noi saremmo abituati a definire come “patologici”. E’ impossibile un processo di identificazione dello spettatore coi personaggi, e il regista non vuole certo fare questo. Anzi, il regista vuole essere una specie di documentarista, che con occhio freddo e distaccato ci vuole descrivere quello che accade nella “sua realtà”.
L’elemento di disturbo è dato, oltre che dagli orrori fisici, spesso descritti con cinismo e ricchezza di dettagli, e dalle elucubrazioni psicotiche che spesso si chiudono su se stesse senza dare alcuna via di sbocco, proprio dal fatto che il regista racconta tutto questo come se fosse normale. Non ne spiega il motivo, perchè non c’è niente da spiegare. Quello che viene mostrato è solo la realtà, una realtà normalissima, quasi noiosa, per il regista, mentre lo spettatore, abbandonato a se stesso, si rende conto che per lui non lo è affatto, e non sempre ne comprende le regole. Non c’è identificazione, c’è anzi la ferrea certezza che il regista stia semplicemente descrivendo una cosa VERA, e che noi troviamo incomprensibile se non ripugnante, mentre quella che viviamo noi tutti i giorni potrebbe essere una rassicurante menzogna.
Il senso di straniamento di fronte a questo è spesso molto forte, e in questo è sempre stata la bravura del regista, unico nel suo genere, che è riuscito negli anni ad elevare il genere “horror” al rango di genere filosofico da cineforum (ho visto coi miei occhi signore di mezza età sconvolte nelle loro certezze, discutere sul significato della parola “realtà”).
Tutto questo, anche se in forme molto edulcorate rispetto al passato, era ancora rilevabile nelle ultime produzioni; in “History of Violence” sembra sparire del tutto. Perchè il film comincia con qualcosa che non era mai stato fatto in precedenza, ovvero con un processo di indentificazione del personaggio principale con lo spettatore.
Il gioco di Cronenberg poteva essere geniale e quasi ancora più perverso dei precedenti. Poteva essere un:”Prima vi lascio credere di stare facendo un film normale, con personaggi normali, come non ne avete mai visti, e vi ci faccio identificare. Poi vi dimostro che quella che voi chiamate “identità” sono tutte balle!”.. Poteva farlo ma non lo fa. Manca del tutto la voglia di trascinare lo spettatore in qualche strano gioco mentale.
Alla fine resta un buon noir, a tratti stranamente ironico, a tratti noioso, che pone accento su alcune tematiche interessanti su cosa significa costruirsi una falsa identità, ed arrivare a crederci al punto da sentirla come la propria identità vera (relegando quindi l’identità precedente al ruolo di “falsa”. Ma se ci pensate bene questo non ha significato logico.. dire che esiste una “identità falsa”, è come dire che, gratta gratta, lo sono tutte). E soprattutto un interessante discorso su cosa sia la felicità e cosa significhi essere felici. Essere felici, come lo intendiamo noi, è solo un inganno? E’ solo una imposizione che ci diamo, applicandoci schemi precostituiti di felicità, o esiste davvero? Il film non da una risposta precisa, e il finale (che tende all’happy end) proprio per questo è a suo modo crudele. Ma questo non basta a far dire di aver visto un buon film di Cronenberg. Evidentemente stavolta zio David era andato a farsi un giro.. speriamo che torni presto! 😉

“Dovrebbe chiedere a suo marito dove ha imparato ad uccidere così bene le persone…”