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Zoe Saldana « La Fabbrica dei Sogni
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Avatar

Sunday, February 21st, 2010 by

Okay, allora parliamo un poco di Avatar, il film più tutto di sempre, la cosa che ha cambiato e cambierà il mondo, anche se forse non tanto quanto lo scintilloso iTampon per nerd (con cui si potrà vedere Avatar stesso anche in quei giorni lì, però in HD; e nella versione con le ali, vi lascio immaginare, sarà un’esperienza… ;)).

Battute idiote a parte, premetto di averlo visto, molto banalmente, in 2D. Non sono un grande fan del tridimensionale: almeno per la tecnologia attuale, mi distrae troppo. Forse è stato un sbaglio però. Avatar, ormai lo sanno anche le pietre, è il top che la tecnologia cinematografica e la computer grafica siano in grado di produrre nell’anno 2010.
Forse solo il 3D può fare giustizia al mondo impressionante e avvolgente immaginato da Cameron. Ma anche in due dimensioni la visione lascia davvero senza fiato. Come dimostrazione di quanto la tecnologia possa fare, spacca di brutto, non c’è alcun dubbio. Che sia sufficiente a cambiare il modo in cui i film vengono fatti, non saprei, ma sicuramente alza la barra per tutti. Il problema, non sono sicuramente il primo a dirlo, è tutto il resto.

E’ un po’ Mission, un po’ Pocahontas (nelle sue varie incarnazioni, ma più che altro quella di Terrence Malick), un po’ Balla coi lupi (ma anche Un uomo chiamato cavallo) e un po’ di film sul Vietnam.
C’è Gaia e l’idea naif che la natura è bella e buona, la tecnologia brutta e disumana (ma che meravigliosi sono invece quegli esoscheletri?!), ci sono ovvi riferimenti all’Afganistan e all’Iraq, le multinazionali cattive che tirano sempre, metafore sottili, “messaggi” telefonati con largo anticipo (che bisogna tagliarle giù grosse, ormai), personaggi stereotipati e clichè a mazzi.

Non è che tutte queste cose siano combinate in modo sciatto e superficiale, questo no: ci sono delle idee originali, se non altro nel fatto di mettere insieme roba presa un po’ da tutte le parti. Non è nemmeno questione che si tratta di una storia in gran parte “già vista”, perchè se fosse così allora potremmo anche smettere di raccontarci storie, che tanto tutto quello che c’era da dire l’ha già detto Shakespeare a suo tempo e quindi chiudiamola lì. La Regola d’Oro n. 5 si applica sempre, ma, appunto, bisogna pur portare le cose da qualche parte, possibilmente non verso il predicozzo eco-terzomondista.

Non voglio essere frainteso: alcuni dei commenti che ho letto in giro pensano che critiche di questo tipo siano snobistiche ed elitarie: un po’ perchè al mondo ci sono un sacco di bastian contrari che basta che gli dici che una cosa è bella perchè loro ti dicano che fa schifo – a prescindere, tanto per far vedere che a loro non li frega nessuno e ne sanno almeno una in più della “massa” – e un po’ perchè siamo circondati da imbecilli con pretese intellettualoidi che “le solite americanate di Hollywood, solo effetti speciali e invece sì che il cinema europeo è artistico e umano e profondo e poi vuoi mettere Kiarostami”. Ora, anche se simpatizzo con chi è irritato da questi cretini (per non parlare di altri che sono pure peggio), non è che a stare dalla parte diametralmente opposta si ha automaticamente ragione.

Piaccia o meno, Avatar ha lo stesso problema di Matrix: figata, però perfino George Lucas ha speso più tempo e soldi sulla sceneggiatura di Phantom Menace di quanta ne abbiano speso Cameron o i Wachowski (e ho detto tutto). A meno di voler sostenere che nel Nuovo Cinema inaugurato da Mr. James Cameron tutto ciò non conta più – in questo caso sono io che sono vecchio, abbiate pazienza – gli agganci, come ho detto, c’erano e bastava lavorarci su almeno quanto sul resto. Che su un progetto di queste dimensioni e aspirazioni non mi pare chiedere troppo.

Oppure va visto così: spegni tutto, occhialini 3D e ti immergi in un’esperienza sensoriale. Magari sbaglio io l’approccio.

Just relax and let your mind go blank. That shouldn’t be too hard for you.

Star Trek (XI)

Thursday, August 27th, 2009 by

E’ passato un mesetto dall’anniversario dell’Apollo 11 (un piccolo passo per un uomo, space the final frontier, etc…) ed è passato abbastanza tempo da averlo digerito per bene, quindi parliamo un pò del nuovo Star Trek.

Diciamo la verità: Star Trek soffriva da tempo di stanchezza. E’ innegabile anche dai fan più ciechi, dopo il quasi-flop di Enterprise e il mancato successo di Nemesis, che pure non era tanto male.
Dunque, arrivati all’undicesimo film, che ci fosse bisogno di un pò d’ossigeno – o un polmone d’acciaio, a seconda di come la si vede – non ci piove: la questione è come farlo senza violentare svariati decenni di lavoro creativo, un immenso e complesso universo alternativo e senza sfornare l’ennesima megapuntatona che piglia solo i fan (che, per dire, a me sta anche bene, ma insomma…). Ricominciando a guardare avanti insomma e a indicare la strada come Star Trek ha sempre fatto fin da quando, in pieni anni ’60, piazzò una donna africana e un russo sul ponte di comando.

La soluzione di J. J. Abrams – nonostante legittimi dubbi su di lui – è di prendere il toro per le corna, e buttare tutto all’aria. Lo fa con una certa arroganza, ma anche con l’aria di chi sa dove mettere le mani. E il risultato, anche se può lasciare a volte perplesso, generalmente funziona. Grazie anche a quello che è da sempre uno dei cavalli di battaglia della serie, riesce a mettere insieme uno storia solida e consistente, senza essere autoreferenziale, e a innovare, senza distruggere. Date le premesse, questo è un buon risultato. Rispettare la tradizione, e lo spirito, non era per nulla un risultato scontato.

Ma è anche un buon film? USS Enterprise new bridge
Beh, dipende. Dal punto di vista di un trekker ci sono chicche incredibili e succose (i cannoni fotonici! l’espulsione del nucleo curvatura!) e cose orride da venire voglia di strapparsi gli occhi (che-minchia-sono-quelle-robe-da-power-rangers e perchè cazzo la sala motori sembra una fottuta latteria?). Senza contare inesplicabili quanto fastidiosi omaggi citazioni riferimenti a Guerre Stellari che sembrano proprio buttati lì tanto per. Capisco che tutto ciò possa lasciare indifferente lo spettatore “normale”, ma il fattore eye-candy (masturbazione visiva per trekker) è indiscutibilmente abbastanza elevato. Certo si sconta un pò il problema di ogni prequel di fantascienza: come mostrare una tecnologia meno avanzata di quella che si poteva far vedere negli anni ’90 (detto ciò la nuova plancia dell’Enterprise è bellissima oltre ogni dire).

Se la storia è un pò debole – e circonvoluta quel tanto che basta per forzare i paradossi e spingere l’intera baracca in un’altra direzione – la vera forza e il fascino di Undici sta nei personaggi e nelle loro relazioni, nel vedere come nascono e si sviluppano. Il livello di recitazione veramente ottimo (ad eccezione forse di Simon Pegg e Zoe Saldana, più per colpa degli sceneggiatori, che gli hanno assegnato parti troppo comiche o troppo decorative, che per colpa loro) riprende i modi di fare e dire dei leggendari attori della Serie Originale, senza trasformarli in imitazioni o macchiette. Questo è davvero un film corale, e il punto non sono paradossi temporali, astronavi, alieni e battaglie, ma persone che si trovano, si scoprono, lottano con sè stessi, con i loro fantasmi e con gli altri per diventare gli amici inseparabili di una vita.
Che poi è quello che Star Trek ha sempre saputo fare meglio.

Ah. E un paio di standing ovation al vecchio Leonard non gliele vogliamo fare?
Spock

What is necessary is never unwise