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Kathryn Bigelow « La Fabbrica dei Sogni
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The Hurt Locker

Tuesday, March 9th, 2010 by

Mi è capitato di vedere questo film in una sala con audio e video impossibili, quindi non mi sento di darvi una recensione vera e propria dal punto di vista tecnico, ma alcune cose mi sento di scriverle e lo faccio prima della cerimonia degli Oscar, anche se voi le leggerete dopo.

Soggetto del film? Molto brevemente: le azioni di una squadra di artificeri americani in azione in Iraq.
La regista é una donna, Katrhyn Bigelow, ex moglie di un certo Cameron, che pare abbia descritto questo film come “il Platoon sulla guerra in Iraq”, sembra poi che abbia anche incoraggiato la ex moglie che sulla strada ha incontrato molti problemi, soprattutto di distribuzione.
Io vi consiglio di vederlo, a prescindere dall’opinione di Cameron.
Da qualche parte é stata mossa l’obiezione che questo film sia poco femminile, come non si veda che la regista é una donna. Io dico che é tutto il contrario, si vede eccome, solo che invece di darci una visione scioccamente rosa della guerra, invece di farci vedere le lacrime delle vedove, invece di indugiare sul lato buonista dei soldati, invece di dirci cosa é giusto e cosa é sbagliato, invece di sottointendere che se fosse per le donne le guerre non esisterebbero, ci dice da subito che la guerra é una droga. Ci racconta la guerra com’é e basta, senza fronzoli, con così pochi fronzoli che durante il film non si sente musica, non c’é una colonna sonora, credo ci sia un solo sottofondo musicale in tutto il film, in compenso molte le esplosioni.
Non c’é un briciolo di retorica, raro in un film di guerra. In tutti i 131 minuti non si vede che una piccola bandiera americana e una irachena, scelta interessante: il tutto potrebbe svolgersi ovunque nel mondo e non ci sono buoni e cattivi.
Alcune scene mettono addosso un’ansia incredibile, la sensazione di panico e paura profonda, la stessa di un cecchino fermo immobile per ore a cercare di centrare il bersaglio, perché alla fine questo vuol dire sopravvivere.

Le riprese sono quasi documentaristiche, senza commenti, ma molto essenziali e per questo perfette per catapultarvi sul campo, per farvi sentire tutta l’umanità dei soldati ma, lo ripeto, senza retorica. C’é il soldato profondamente colpito dalla guerra, psicologicamente “danneggiato”, c’é quello che segue le regole e cerca di guidare la squadra nel migliore dei modi, c’é il drogato di guerra, quello che rischia tutto, quello che a casa si sente fuori posto, che solo con le mani tra le bombe si sente se stesso. L’umanità, la fragilità di questi uomini, quella cosa che dovrebbe essere sottolineata da lacrime, assenti per fortuna, si sente in moltissime scene, comprese le scazzottate idiote-valvola di sfogo. Si percepisce tutto senza accorgersene, questo é il tocco femminile della regista.

Alla fine se ne esce con qualcosa su cui ragionare e la profonda sensazione che il genere umano sia in grado di fare cose indicibili, come usare un cadavere come involucro per bombe, o rendere impossibile il ripensamento da parte di un attentatore suicida lucchettandogli addosso una camicia esplosiva. Non é una novità: il genere umano fa schifo e la Bigelow é stata brava a raccontarcelo.

Staff Sergeant William James: This box is full of stuff that almost kill me.

UPDATE POST OSCAR
Aggiungo un link interessante che spiega chi e’ la regista, com’e’ nato questo film e i problemi incontrati a cui accennavo. Leggetelo e’ interessante.