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Scarlett Johansson « La Fabbrica dei Sogni
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Posts Tagged ‘Scarlett Johansson’

Vicky Cristina Barcelona

Sunday, March 15th, 2009 by

Chiariamolo subito a scanso di equivoci: nonostante l’abbia scoperto in tempi recenti, alla sottoscritta Allen piace da impazzire, come regista intendo. Non sostengo che abbia fatto solo capolavori, ma i suoi film hanno tutti qualcosa di geniale, di profondo, di ridicolo, di esagerato, di provocatorio, lasciano il tempo di pensare e ti fanno capire certe cose o te ne fanno vedere altre che non avevi mai considerato. Per questo mi piace.

Questa pellicola non fa eccezione, molto godibile, divertente, con luci spettacolari, Allen sa fare di più ma forse questo film va bene così com’é.
Qualcuno nei commenti allo stesso film sul un altro blog cinefilo ha detto che se Allen girasse un film a Pescara o Legnano farebbe venire voglia di trasferirsi perfino lì. E’ dannatamente vero, la Barcellona ripresa é calda, assolata, giovane, in perenne movimento, piena di ormoni, di cose belle e di vino tinto, ma quanto bevono in questo film?

Storia: due amiche americane assai diverse tra di loro trascorrono l’estate a Barcellona ospiti di amici. A una mostra incrociano un artista folle noto per il burrascoso passato con l’ex moglie, fanno conoscenza, una della due decide che é giunto il momento e il luogo di buttarsi in un’altra avventura assecondando l’artista e seguendolo in un viaggio che durerà tutta l’estate.
Il film parla di molte cose, parte lento, arriva al culmine, poi torna indietro. Sembra banale, sembra il trionfo della normalità e forse lo é. Ci racconta molte cose sulle relazioni tra persone, sull’amore, sugli equilibri amorosi che forse non sempre prevedono due cuori e una capanna per funzionare, a volte ne servono tre di cuori. Così come certe volte ti serve qualcuno molto distante dal tuo modo di essere per capire cosa non vuoi, per capire quale sia il tuo talento e per seguirlo, per scoprire che non sai dove andare ma sai che devi provare altro.

La famigerata scena del bacio saffico, molto bella, sexy, per niente volgare e decisamente intrigante, non vale l’espressione di S. Johansson quando racconta all’amica e al di lei pedantissimo fidanzato, delle sue esperienze saffiche e della vita a tre: un’espressione semplice, rassicurante, dolce, come stesse dicendo che ha assaggiato il gelato al gusto pistacchio e davvero non é niente male. Insomma fa sembrare tutto una cosa normale, stuzzicante certo ma per nulla morbosa o deviata.
La morbosità sta davvero sempre negli occhi di chi guarda, forse.

A molti é parsa noiosa la voce narrante fuori campo, a me non é dispiaciuta affatto, evidenzia alcuni aspetti della storia e rende più corale il film. Poi forse é stata mal tradotta, vai a sapere lo scempio che han fatto in italiano.

Scarlett Johansson dovrebbe imparare a tenere in mano una macchina fotografica! Per il resto questa ultima musa di Allen ha il pregio di sembrare sembre bimbesca nelle sue espressioni, anche le scene più calde risultano passionali e intriganti ma in modo così lieve ed elegante che nessun’altra forse avrebbe potuto interpretare il ruolo altrettanto bene.
A Penelope Cruz la parte della pazza isterica viene molto bene, sarà perché é latina? Non so se era davvero un’interpretazione da Oscar, però ammetto la sua bravura in questo ruolo, molto sexy anche lei.
Rebecca Hall é davvero parecchio carina e molto brava nel ruolo della bilanciata, razionale, fidanzatissima talvolta petulante americana che però scopre qualcosa nel suo profondo, qualcosa che non sapeva.
Poi c’é Javier Bardem, l’avete presente? No, non é bello, lo so e dopo la sua spettacolare ma allucinante interpretazione ne “Non é un paese per vecchi” temevo di non riuscire più a trovarlo conturbante, invece … invece lo é eccome. Nello stereotipo dell’artista genialodie svitato, sexy, sbruffone, affascinante, sensibile. La smetto, ma resta uno schianta-ormoni.

Vicky: Oh, right. you’re asking us to fly to Oviedo and back.

Juan Antonio: Mmmm. No, we’ll spend the weekend. I mean, I’ll show you around the city, and we’ll eat well. We’ll drink good wine. We’ll make love.

Vicky: Yeah, who exactly is going to make love?

Juan Antonio: Hopefully, the three of us.



Nota d’apprezzamento: Robsom e io abbiamo visto il film all’ultimo spettacolo dell’ultimo giorno di proiezione, in sala eravamo in 6 (sei) persone. Praticamente una proiezione privata, un’esperienza che consiglio appena possibile.

The Prestige

Tuesday, February 6th, 2007 by

Ovvero: stai guardando attentamente? locandina

L’incipit del film, riportato anche nella locandina, è una dichiarazione d’intenti palese da parte di Chris Nolan, uno degli autori-registi diventato “di culto” in pochissimo tempo negli ultimi anni. Anzi, diventato “di culto” da subito, fin dai tempi della sua prima apparizione dietro la macchina da presa, in combutta col fratello Jonathan Nolan, dietro le penne del soggetto e della sceneggiatura.
Uno dei film d’esordio, il loro, che fin da subito, e negli anni, ha mietuto sempre più fan, e che forse merita che ne parli più approfonditamente qui. Prossimamente.
Dopo una breve parentesi commerciale a cui ha partecipato solo Chris come regista (comunque degna di nota come si può leggere qui), ecco che i due tornano insieme, sempre dividendosi i compiti tra penna e macchina da presa (squadra che vince non si cambia), con la stessa identica voglia di stupire degli esordi, di giocare facendo carte false se necessario, di scombinare le carte del gioco, di ingannare.

Già, perché noi vogliamo essere ingannati, no? Tutto sommato, nella veste di cinefili-spettatori non possiamo negarlo, fa parte del gioco che è la stessa essenza del cinema.

Per dare una risposta apparentemente assurda ad una domanda incalzante, i fratelli Nolan confezionano uno dei film più eleganti, geniali e riusciti che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni, sinuoso, ammaliante, enigmatico al punto giusto. L’argomento è uno dei più adatti allo scopo: il mondo della magia, o meglio dei giochi di prestigio, il cui scopo è appunto quello di ingannare i sensi e la mente degli spettatori.
La storia vede due prestigiatori che si muovono in una Londra di fine ottocento. Essi passano presto da una fortuita quanto infelice collaborazione, ad una sfida dapprima timida, e poi via via sempre più aperta ed incalzante, cattiva, rabbiosa e infine tragica.
Uno (eccezionale Christan Bale, nei panni di Alferd Borden) povero e felice, con famiglia, l’altro (Hugh Jackman, nelle vesti di Robert Angier) ricco ma triste e solo per colpa del primo; uno con un forte senso di sfida innato che lo porta a cacciarsi nei guai, uno più posato ma non per questo meno determinato. Ognuno dei due vive la propria ossessione in modo totale: quella di riuscire a stupire di più, di essere partecipi con la propria intera esistenza al grande spettacolo della magia, di riuscire a carpire i trucchi dell’altro, di riuscire a trovare il gioco perfetto, quello che non potrà mai essere svelato.
Perché la magia si compone di tre parti, come recita un maestosoo Michael Caine nei panni di Cutter, assistente di Angier, all’inizio e alla fine del film, e la parte che fa diventare davvero grande un numero di magia è quella finale… quella della spiegazione che non c’è.
Così mentre Borden inventa un gioco apparentemente inspiegabile e di successo, il “trasporto umano”, Angier cerca di carpirne i segreti, riuscendo infine a riprodurlo e migliorarlo, rendendolo a sua volta ancora più misterioso. La chiave di volta di tutto è rappresentata dal personaggio, storicamente esistito, di Nikola Tesla, scenziato genialoide ed enigmatico interpretato da David Bowie (e chi se non lui?).

Ben presto dal gioco si passa alla vita, all’amore e alla morte. Dal momento in cui ci scappa il morto (uno, due, cento mille, chi può dirlo?), il film diventa una cosa seria, si trasforma in un thriller ammaliante ed enigmatico, quanto di meglio (o di peggio, dipende dai gusti) il cinema può tirare fuori dal cilindro.
Al tutto questo si aggiungono una sceneggiatura volutamente fumosa, che è stata concepita appositamente per occultare (Memento docet) più che per rendere le cose chiare, con salti temporali e buchi così palesi e teatrali da non poter essere altro che voluti. Il filo temporale della vicenda è dettato dalla lettura che ciascuno dei due prestigiatori fa del diario e degli appunti segreti e criptati dell’altro. Una cosa abbastanza difficile da spiegare ma anche da seguire, nel film.

E mentre si avvicina la fine, il film comincia ad apparire per quello che è. Non è una storia, non è un thriller, è semplicemente una specie di gioco di prestigio. Man mano che i due alzano il tiro e la storia si complica, man mano che le loro vite vengono assorbite dalla loro ossessione, ecco che il gioco diventa evidente ai nostri occhi.
Esattamente un gioco in in tre fasi: presentazione, accadimento imprevisto, finale.

Niente alla fine è quello che sembra, e di fatto non c’è un limite invalicabile. Volendo nel grande gioco della magia, ci può entrare anche la morte. Perché nel gioco non c’è mai una fine estrema, ma sempre e solo la fine di un semplice trucco che serve come punto di appoggio per presentarne uno ancora più grande e stupefacente.

“Alfred Borden, lei è stato condannato ad essere appeso per il collo, finchè morte non sopraggiunga. Ha un’ultima dichiarazione da fare?”
“Sì… abracadabra!”

Alla fine, come qualsiasi thriller che si rispetti, i trucchi saranno svelati e le domande avranno una risposta. Non tutte, vista la quantità di domande che si accavallano comunque sui forum e sui blog a tema. Un finale perfetto in ogni caso, con i giusti colpi di scena in sequenza.
Ma noi avremo davvero guardato con attenzione?
Nel momento in cui pensiamo di poter dare una risposta, ecco il vero colpo di scena.
Un colpo di scena che non è nulla di nuovo, già lo raccomandava Hitchcock, perché, diceva, è l’unico modo per non distruggere del tutto la magia e per permette allo spettatore di portarsene a casa un pezzettino.

A quel punto i Nolan si inchinano al loro pubblico, sorridono pensando che ce lo avevano detto fin dall’inizio ma per tutto il tempo abbiamo fatto finta di non saperlo, e poi fanno svanire il loro mondo nel nulla. Un finale così sottilmente geniale non mi capitava di vederlo da parecchio tempo, davvero… Il prestigio è riuscito ed è ovvio che ci piace così.
Lo sapevamo fin dall’inizio, leggendo sulla locandina “Stai guardando attentamente?”.

“Voi avete cercato di capire il trucco, ma non riuscite a trovarlo perchè in realtà non lo avete cercato per davvero. Per tutto il tempo avete fatto finta di guardare, perchè in realtà voi non volete scopirire il segreto, volete essere ingannati…”

The Island

Saturday, February 18th, 2006 by

Dato che, dopo alcune pessime esperienze (nel caso specifico si tratta di uno dei più brutti film mai visti, e per fortuna che l’ho visto in tv dove di tanto in tanto la pubblicità allietava la serata) ho deciso che non avrei mai speso dei soldi per vedere un film di quest’uomo (e faccio notare lo spessore della sua filmografia), ieri sera ho avuto modo di scroccare la visione a casa di un amico di un film che sulla carta pareva molto promettente.
The Island si presenta al pubblico con la promessa di essere un film di fantascienza che aiuta a riflettere su un aspetto molto importante e controverso del nostro futuro prossimo: quello della clonazione di esseri umani.
“Lincoln 6 Echo”, il protagonista, vive in un mondo futuro (neanhe tanto, solo nel 2019) pulito, ordinato, in cui è vietato toccare altre persone e in cui un sistema computerizzato centrale gestisce la dieta e la attività fisiche e di svago per ogni individuo, e in cui il “sistema” imposto dall’alto sembra voler garantire felicità a tutti, salute e benessere.
In particolare la speranza per tutti gli abitanti della comunità, che sono obbligati a restare rinchiusi a causa di una contaminazione esterna di non precisata natura, è quella di essere estratti alla Lotteria, e di poter in questo modo raggiungere “L’Isola”, una specie di paradiso incontaminato in cui i prescelti dovranno riprodursi per dare origine ad una nuova stirpe umana migliore della precedente.

Fino a qui tutto bene, anzi, pure troppo. Pochi errori di sceneggiatura, ottima ambientazione, il regista, amante di esplosioni ed inseguimenti, praticamente irriconoscibile. Idee carine e in parte ben sfruttate.
Poi sopravviene l’imponderabile e tutto precipita: il film e le palle dello spettatore.
Nel momento in cui i due protagonisti riescono a fuggire dal luogo in cui sono stati convinti con l’inganno ad essere rinchiusi, e scoprono la turpe e bieca verità (ovvero di essere carne da macello, ovvero la “polizza assicurativa sulla vita” di ricconi che hanno speso 5milioni di dollari per farsi clonare ed avere così sempre pronti organi nuovi da farsi trapiantare e l’eterna giovinezza a portata di mano), quanto più è turpe la verità scoperta, tanto più i protagonisti e il regista se ne fregano. Volevate meditare, raccogliere spunti di riflessione? Allora dovevate andarvi a vedere un documentario sulle foche, perchè qui c’è MICHAEL-BAY e c’è THE-ISLAND, mica pizza e fichi, YEAHH!!
Nel momento in cui i protagonisti mettono piede a Los Angeles, si avvia una sequela infinita di inseguimenti,esplosioni, esplosioni, esplosioni, incidenti, palle di ferro da 10 gigatonnellate che cadono dai camion e colpicono automobili, elicotteri che si incidentano tra loro, elicotteri che si incidentato con camion, per non parlare di una grande “R” che si stacca dall’insegna di un palazzo, cade per 50 piani sopra un elicottero, il quale cade su un camion, in quale cade su…. vabbè avete capito: è una merda!
D’altra parte Michael Bay, il regista tra i più acclamati di Hollywood, nonchè il più inutile, non poteva deludermi così, facendo un film intelligente e con delle idee. Anzi, a pensarci bene ha fatto meglio del solito: ha preso delle ottime idee e le ha distrutte una per una. E a lui piace distruggere le cose, lo si vede chiaramente dai suoi film…

PS: se vedete il DVD del film, non perdetevi il “Making Of”, vi perdereste una delle più grandi sboronerie mai viste. Il regista che ci spiega come ha fatto a fare quelle scene spettacolarissime. Niente computer, tutto vero. E’ bellissimo vedere la sua faccia orgasmica mentre racconta come ha buttato via 1 milione di dollari per fare la scena della grande “R”, o quella delle palle di ferro che cadono dal camion. Soprattutto quando dichiara che non ci può fare nulla, a lui piace distruggere le cose.
Ancora più bello è l’aiuto regista, che sembra uscito dal Rocky Horror, che aggiunge che gli dà molta soddisfazione sapere che la gente va al cinema a vedere queste cose più uniche che rare…
Al cinema? AL CINEMA?!?! E’ già tanto che il dvd di ieri sera non era piratato…. 😛

Match Point

Wednesday, January 25th, 2006 by

Secondo alcuni Allen si può solo amare o odiare, niente vie di mezzo, forse è vero. Per chi ama uno dei registi più controversi dei nostri tempi questo è certo un capolavoro.
Molto british, inquietante, realistico, ironico senza farti ridere, con un ritmo in crescendo che forse inzia un po’ troppo lento.
Il nostro eroe cattivo, Chris Wilton, con cui si stringe un patto di simpatia da subito è un maestro di tennis, un perfetto J. Rhys-Meyers, che si infila senza problemi nella ricca vita famigliare degli Hewett in quel di Londra. Entra a far parte della loro serena vita fatta di cene costose, Cartier, maglioncini di vigogna, champagne e opera. Si invaghisce della sorella del suo iniziale allievo di tennis ed amico, diventa dipendente del padre di lei, la sposa. Fin qui tutto si svolge tra i campi da tennis in erba verdissima, ville di campagna piovose e battute di caccia alla quaglia. Poi arriva qualcosa a riportarci nella realtà di tutti, una strepitosa S. Johansson nei panni di Nola, irresistibile futura cognata dell’eroe cattivo.
Succede il pervedibile: invaghimento dei due, passione, tradimento, bugie, la tragedia finale.
Forse lo svolgimento sembrerà scontato letto in questa pagina, non lo è. Allen ci racconta magistralmente la difficoltà di assumersi le responsabilità delle proprie azioni, ci spiega come una volta raggiunto il successo è assai difficile scegliere di lasciarlo. Ci racconta di reali situazioni che tutti viviamo o vediamo vicino a noi: vite basate sull’inganno, sull’opportunismo, sulla finzione, con la freddezza di un giocatore di pocker professionista.
Allen ci fa sentire vicini al cattivo eroe, al punto che vorremmo se la cavasse, nonostante sia palese il suo errore, fino alla fine si resta indecisi, non si vorrebbe la fortuna gli girasse le spalle.
Allen ci mostra infatti come la fortuna nella vita conti più del talento, molto di più.
Il colpo da maestro è il finale, che non voglio svelarvi, ma tenete ben presente la scena inziale del film. Una pallina da tennis in volo dopo aver sfiorato la rete può cadere al di qua o al di là della rete stessa. Di qua si perde, di là si vince. Nella vita di Chris Wilton è la stessa cosa: un anello lanciato nel Tamigi può rimbalzare contro il parapetto e restare sulla balaustra dalla sua parte: il nostro eroe perderà o vincerà?
Da vedere.

Chris Wilton: Hai idea di che effetto hai sugli uomini?
Nola Rice: Pensano che io sia qualcosa di molto speciale.
Chris Wilton: E lo sei?
Nola Rice: Nessuno ha mai voluto i soldi indietro!

Note dell’autrice: d’ora in poi dovrò prenotare e pagare due posti in più al cinema perchè sempre più spesso mi capita di avere vicini molesti. Stavolta i due geniali vicini avevano decisamente sbagliato film, immagino avessero visto una scena sexy nei trailers e si erano convinti fosse un film più leggero e diverso, alla VacanzediNatale, temo. A parte il fatto che la bocca di S. Johansson può lottare in sensualità con quella della Joile, certi sguardi poi lasciano senza fiato, ma non tutti sono capaci di emozionarsi e/o eccitarsi per uno sguardo, troppo complicato immagino. Detto ciò: prenoterò una sala intera la prossima volta, avere vicini che mangiano tre mastelloni di pop-corn, escono durante la proiezione per prendere cola e caramelle, ridono dove non c’è da ridere e urlano, è troppo per una cinefila come me, troppo, troppo. Che nervi.