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Archive for the ‘fantascienza’ Category

Hellboy

Friday, February 20th, 2009 by

si, Hellboy, il primo, non quello che è uscito la scorsa estate.
Eggià, sono un po’ in ritardo con la recensione…il fatto è che illo tempore non l’avevo visto, chissà poi perchè, e me lo son trovato casualmente ieri sera su Italia1, così ho pensato di colmare questa lacuna.
E son stato contento d’averla colmata.
Si tratta di uno di quei film che secondo me sono l’ideale per una serata di relax, senza troppo impegno, ma che comunque hanno dei meriti. Nello specifico, i meriti sono una trama interessante ed originale, ricca di spunti (di cui dirò poi, meritano un paragrafo a parte).
Non si può dire che il personaggio principale brilli per originalità: ricalca lo stereotipo dell’eroe solitario e burbero, ma con la battuta pronta (alla “Die Hard”, per intenderci, ma perchè no, anche alla Bud Spencer, accidenti), il supereroe da fumetto appartenente alla categoria dei “reietti” (da Batman a Hulk, dal Corvo agli X-Men) perchè diversi e per certi aspetti addiruttura “oscuri”. Ma è pur sempre uno di quei personaggi sopra le righe, di quelli che è difficile non prendere in simpatia, che colpisce coi cazzotti ma anche con la lingua, con l’ironia tipica del disilluso..ma che continua per la sua strada.
Forse più originalità si può trovare nei personaggi secondari: per i “buoni”, l’uomo/pesce che sa leggere il passato ed il futuro; per i “cattivi”, l’uomo meccanico che ha sabbia al posto del sangue ed una molla a carica al posto del cuore.
L’originalità della trama consiste nell’attingere qua e là, mischiando bene il tutto. Ci sono riferimenti a H.P. Lovecraft: all’inzio del film, una citazione dal “de Vermis Misterii”, immaginario grimorio nato dalla mente di Lovecraft appunto e di Bloch; poi il riferimento a terribili divinità ibernate in tombe di cristallo nello spazio remoto, dalle forme gigantesche e tentacolari che tanto ricordano i Grandi Antichi.
Si pesca poi anche nella Storia con la S maiuscola..o meglio, nelle sue pozze più melmose: si gioca sull’ambiguità della figura di Rasputin, veggente e soprattutto stregone, ma soprattutto (e da qui parte il film, ma non dico troppo per non spoilerare) sui (più che) presunti legami tra Nazismo ed esoterismo (già visti anche nella saga di Indiana Jones, tral ‘altro).
Quello che ne esce è un mix interessante, decisamente fumettesco, senza pretese (che è poi quello che lo rende altamente digeribile), ma filante ed avvincente.
Infine..beh, ci sono stati un paio di momenti nel film in cui mi si è accesa una lampadina: “Cabal!”..ho colto qualche legame con lo splendido film di Clive Barker risalente agli ormai lontani anni ’80 (lontani, troppo lontani per poter farne una recensione adeguata, ma se mi capitasse di rivederlo, non mancherò, giuro). Rifermimenti casuali ed involontari sicuramente, inevitabili visto la natura simile dei protagonisti.
Non ho parlato degli effetti speciali, lo so, nè della regia (onesta, senza infamia e senza lode), mentre meritano una nota di merito le scenografie: azzeccatissimi gli ambienti che si sviluppano in verticale…verso il basso, chiaro richiamo alle origini demoniache del protagonista, bellissimi nella loro complessità e nell’essere giganteschi; in poche parole: da fumetto.
Giudizio finale: Il film non è certo un capolavoro da Oscar, ma è decisamente piacevole…”guardevole”, direi.

Io sono leggenda

Wednesday, February 4th, 2009 by

A distanza di parecchi mesi dall’uscita in Italia di questo orrido film (avete già capito dove voglio andare a parare), mi è venuta voglia di parlarne. Ho deciso di aspettare, perchè se lo avessi fatto a caldo, avrei solo scritto una sequela di parolacce, e non era il caso.
Lo faccio ora perchè stasera mi sento acido, ed è il momento giusto di parlarne. Questo film merita una stroncatura, perchè violenta e rinnega uno dei libri fondamentali della narrativa di fantascienza/horror americana del secolo scorso. Un libro scritto nel 1954 da Richard Matheson, un brillante scrittore e sceneggiatore che ha ispirato con le sue opere parecchi film. Un libro che ha liberamente ispirato una serie impressionante di film e racconti, a cominciare da “La notte dei morti viventi” in poi. Uno dei libri che, a mio parere, presenta uno dei finali più incalzanti, belli, coinvolgenti, drammatici e riusciti di sempre. Insomma, una pietra miliare di un certo tipo di letteratura.
E’ fatto noto (non sto spoilerando nulla, non temete) che il libro si presenti esattamente nel modo in cui finisce, ovvero che l’ultima frase del libro sia anche quella scritta nel titolo. “Io sono leggenda”.
Quando usci, anche questo aspetto costituiva un fatto nuovo. Così come erano nuove le tematiche presentate dal libro, tematiche molto progressiste e “scomode” sul tema del diverso e dello straniero, del significato di “normalità” ed “anormalità“, di moralità” ed “amoralità, di come questi concetti non siano assoluti (come si vuole spesso credere) ma siano profondamente mutevoli e tutto sommato democratici, ovvero di come li decida la maggioranza. E, aggiungerei, di come la morte sia un concetto profondamente ecologico. Sì, proprio ecologico. Questo è uno dei primi libri che esprimono concetti ecologici in modo radicale e in forma di romanzo.
Ci vuole un libro intero per capire il vero significato di quella frase che dà il titolo al libro. Per arrivare a capire che non ha esattamente il significato che ci si aspetta, ma che ne ha uno davvero inaspettato. Ma che dice una cosa vera, innegabilmente vera, e scomoda. Anzi, una cosa evidente ma che per qualche strano motivo si preferisce occultare, per credere a qualcosa di più rassicurante.
Evidentemente proporre certi temi, anche oggi è considerato scomodo da qualcuno, visto che il film non fa altro che proporre un finale RADICALMENTE opposto a quello del libro. Un finale molto rassicurante e conservatore, un finale che fa stare bene, che manda la gente a casa col sorriso invece che con un dubbio, perchè mette tutto di nuovo in un’ottica di normalità. L’eroe è eroe. Il male è il male. La morte in qualche modo si può sconfiggere. Buonanotte e sogni d’oro.

Ovvio che è proprio questo l’elemento di biasimo: il finale radicalmente rovinato. Si va proprio a distruggere il significato di cui si caricava il titolo del romanzo, per proporre qualcosa di opposto. Ma dando lo stesso titolo del romanzo.
Non credo di esagerare: quando ho visto il film c’era poca gente in sala, ma evidentemente c’era qualcuno che aveva letto il libro. Casualmente alcune delle persone presenti, vedendo il finale, se ne sono uscite con improperi di tutti i tipi, da “ma andate a cagare!” a “ma vaffanculo”… (il “ma vaffanculo” l’ho detto io)

In effetti il libro e il film non sono così drasticamente diversi, se non nel finale e negli intenti, e in alcuni dettagli. Il film è perfino realizzato bene, questo è giusto riconoscerlo. Persone che non hanno letto il libro lo hanno trovato senza dubbio piacevole. Effetti speciali buoni, sceneggiatura senza buchi, Will Smith in forma.
La storia è portata avanti con alcune differenze (attenzione, questo link contiene MOLTI SPOILER sia del libro che del film). Cambiano molti nomi dei personaggi e cambia la location (da Los Angeles a New York, considerata più scenografica).
Il motivo per cui, a fronte di una storia liberamente ispirata al romanzo e dagli intenti molto diversi, si sia deciso comunque di dare il titolo del romanzo, è ignoto. Forse c’è stata della malafede dietro, o forse solo ingenuità dettata dal marketing. In ogni caso un brutto motivo, non c’era alcuna necessità di proporre questo film col titolo “io sono leggenda” traendo in inganno tutti i lettori del romanzo. potevano chiamarlo anche “i marmittoni alle grandi manovre“, nessuno avrebbe detto niente…

Per motivi di affezione, vi propongo la storia così come presentata nel romanzo: Rober Neville è l’ultimo uomo rimasto sulla terra. E’ arrivato il classico virus (classico per noi nel 2009, ma nel 1954 era un tema assolutamente nuovo) che ha trasformato tutti gli altri uomini in vampiri/zombie sanguinari, in esseri animaleschi che girano solo di notte uccidendo altri uomini e succhiando il loro sangue, mente di giorno se ne stanno rinchiusi nelle case a dormire.
Tutti tranne lui.
Robert è un uomo semplice, con scarsissime conoscenze e cultura, un operaio che si trova a dover sopravvivere. Un uomo normale che trovandosi in una situazione eccezionale, può fare solo una cosa: finire sull’orlo della pazzia e cercare di attenuare l’incredibile solitudine con l’abuso di alcool.
Infatti è così: di giorno Robert vagola per il mondo abbandonato a se stesso, cercando provviste o strumenti adatti a difendere la casa, o uccidendo tutti i vampiri che trova mentre sono sprofondati nel sonno. Ha scoperto che l’unico modo per ucciderli è di piantare loro un paletto nel petto.
Quando arriva la sera torna a casa, si barrica dentro, e quando sente che la notte sta portando fuori tutte le orride creature, si ubriaca fino a delirare e poi a svenire nel letto. Tutte le sere e tutte le notti. Insomma un personaggio per niente “positivo” e per nulla “politically correct”.
Il libro è scritto quasi in forma di monologo, in cui tutti gli eventi sono di volta in volta filtrati attraverso le sensazioni del protagonista, compresi i deliri in cui sprofonda la notte.
Man mano che i giorni passano, giunge la rassegnazione della situazione e la consapevolezza che l’unico motivo per cui lui potrebbe essere restato sano, è la possibilità di studiare la malattia e il virus e di far guarire tutti gli altri (proprio lui, un eroe controvoglia, del tutto anti-eroe). Così il povero Robert, senza nessuna conoscenza scientifica, inizia a documentarsi dalle basi leggendo libri presi a caso dalla biblioteca del quartiere, fino ad arrivare a costruire, pagina dopo pagina, una ipotesi su come potrebbe essere fatto il virus, e su come potrebbe agire sulle persone colpite.
Il bello e l’originalità del libro è che riesce nell’intento. Alla fine riesce a spiegare tutto in modo quasi scientifico, compresi i tipici comportamenti vampireschi: la paura della luce e dell’aglio, il terrore della croce e degli specchi, e la morte che sopraggiunge solo tramite il paletto di legno conficcato nel cuore.
Tutto questo costituisce sì il topic principale del libro (l’obiettivo impossibile da portare a termine, l’enorme forza di volontà necessaria, l’aspirazione finale di redenzione per tutto il genere umano) ma anche la principale distrazione.
Il romanzo rivela presto i suoi reali obiettivi poco rassicuranti, perchè mentre Robert è sempre più stretto nel suo piccolo mondo, fatto di mura domestiche, alcool, ricordi dolorosi, rimpianti, deliri paranoici, visioni, ricerche scientifiche e questo folle obiettivo da portare a termine… mente lui è perso in tutto questo, il mondo là fuori va avanti e si evolve senza di lui, finchè un brutto giorno…

Un consiglio? Leggetevi il libro. Le ultime dieci pagine si chiudono con un monologo drammaticamente impagabile. Altro che “lui ora è leggenda”. (mi viene il vomitino solo a pensarci.. bleah!)
Se non avete visto il film, leggete il libro e passate oltre. Dimenticatevi che esista questo film. Ci sono film molto più appaganti e sensati.
Se invece avete già visto il film (e probabilmente vi è piaciuto), beh… provateci lo stesso.
So già che il risultato non sarà lo stesso. Conosco gente che ha letto il libro DOPO aver visto il film, e non l’ha trovato particolarmente eccellente. Il libro è rovinato per sempre.
Fosse solo per questo motivo, andrebbero rinchiusi gli autori del film. Perchè con il loro intento, sono riusciti a rovinare il romanzo per sempre, a chi ha visto il film.
Rinchiudiamoli!

Kyashan – La Rinascita

Wednesday, March 7th, 2007 by

Ieri sera sono finalmente riuscito a vedere, seppur in dvd, un film che purtroppo mi son perso quando è passato (fugacemente, per lo meno dalle mie parti) nelle sale, e che aveva decisamente cattuarato la mia attenzione. Trattasi di “Kyashan – la rinascita” (tit.orig.: “Casshern”, jpn, 2004; non ho trovato un sito ufficiale in italiano, nè tantomeno uno ufficiale in inglese aggiornato, quindi accontentiamoci di questo . . ps: l’ho letto DOPO aver scritto questo post), tratto da un cartone animato che magari i nati tra gli anni 70 e gli 80 potranno ricordare..ma per rinfrescarsi la memoria (e per chi non lo conosce) basta andare qui . NB: se arrivate in fondo alla pagina, il “Sergio” autore del pezzo non sono io, è simpatico caso di omonimia :).
Per prima cosa, è doveroso premettere che il film si discosta parecchio dal cartone animato, anche se ci sono alcune citazioni dell’anime originale: un cane di nome Flender, come il cane-robot che accompagnava Kyashan nel cartone; il tipico casco (modello jet con una grande luna sottile che parte dalla fronte), che si vede solo in un paio di scene dove è protagonista di un evidentissimo primopiano (giusto per la goduria dei nostalgici, ma che non viene mai indossato dal protagonista); ed il letto a forma di cigno nel quale riposa la mamma di Tetsuya-Kyashan..qualcuno si ricorderà invece che nel cartone animato, la mente della madre di era inglobata in un cigno robotico.
Ma veniamo al film….finalmente! Di certo è un film molto particolare…2 ore e venti di giapponesi e di immagini visionarie potrebbero non piacere a tutti…ma il film, anche se non è un capolavoro riuscito al 100%, ha parecchi spunti interessanti, sicuramente. Insomma, non è un film facile, non è un film banale.
Per prima cosa, l’impatto visivo è notevole. Il film esordisce con gli scenari di una megalopoli che sembra una citazione di bladrunneresca memoria..Le scenografie, realizzate per lo più in digitale, oltre al suddetto Blade Runner, mi hanno riportato alla mente anche un pizzico di “Dark City” (di Alex Proyas, il regista de “il Corvo”). Di sicuro lo steam-punk si fa sentire, con un futuro ipertecnologico in cui i protagonisti ascoltano la radio con le manopole e guidano auto da gangster movie. Ecco, forse i costumi sono una nota negativa (tranne la tuta di Kyashan), ma il mecha design (permettetemi un’espressione da cartone animato…mi riferisco al design dei mezzi di trasporto e degli androidi) è spettacoloso. Treni immensi che viaggiano su 6 binari, aerei di dimensioni bibliche, portacontainer volanti a traliccio (questa m’è venuta così, non saprei come descriverveli…avete presente quelle gru su binario, ad “U”, che sollevano i conteiner negli scali ferroviari e nei porti commerciali? ecco, mettetene assieme un paio con una struttura a traliccio, montategli alcune eliche e fateli volare..). E gli androidi!! chi si ricorda del cartone animato, non potrà non avere un pizzico di nostalgia vedendo i battaglioni di robot con la testa incassata a forma di elmo prussiano, con tanto di punta, e i piedi a mo’ di scarpetta araba con la punta all’insù!
Evidenti anche le allusioni all’imperialismo asiatico, con tazebao giganteschi con la faccia del lider (un “generalissimo”) della confederazione della Grande Asia, scritte in cirillico e sculture di militari che non possono non richiamare rispettivamente l’iconografia maoista e staliniana.
Il tema di fondo è attuale: la biotecnologia. Si parte dalla scoperta delle “nanocellule”, una sorta di super cellule staminali, che dovrebbero essere in grado di sostituire qualsiasi parte del corpo “guasta”, e si arriva ad una guerra tra neoumanoidi ed umani…ovviamente il tutto condito da un contrasto edipico padre – figlio e da altri interessanti spunti di riflessione. Perchè lo scontro non è tra buoni e cattivi, ma è piuttosto una ricerca tra cosa è sbagliato..e cosa è meno sbagliato.
Non avete capito? beh, nemmeno io..infatti penso che rivedrò sto film tra qualche tempo per cercar di far luce su alcuni passaggi nebbiosi 😀
Il punto di di forza del film è, infatti, il grande impatto narrativo delle immagini. Al di là degli effetti grafici nei combattimenti, da cartone animato (giustamente!! ben fatti ed azzeccati stilisticamente), ci sono molte inquadrature statiche di forte impatto. L’uso narrativo dei colori (e del bianconero!) è fatto con grande accuratezza, e evidente è la narrazione per metafore. Di effetto, ad esempio, la “rinascita” di Tetsuya-Kyashan, immerso dal padre nel liquido di cultura delle neocellule, rappresentazione di un moderno liquido amniotico, con una gestualità “battesimale”.
La narrazione per metafore prevale soprattutto nell’ultima parte del film, appesantendolo un po’, e rendendo più difficoltoso capire cosa avviene realmente, ma offre numerosi spunti di riflessione. Infatti, quello che conta (come già ho avuto modo di vedere in altre opere nipponiche) non è tanto quello che succede nella realtà, ma quello che provano i protagonisti. L’evolversi della trama psicologica prevale sullo svoglersi di quella “concreta”, nella realtà (della finzione). Non è la vita o la morte dei personaggi che conta, ma le conclusioni a cui riescono ad arrivare, ciò che riescono a comprendere. Un messaggio che definire interessante o stimolante è ancora riduttivo.
Un ultimo accenno alle musiche: discrete, non invasive, ma sempre clamorosamente azzeccate, aderenti allo svolgersi delle immagini. Bravi.
Avrete notato che non ho parlato molto della trama (per questo, basta vedere il film, no?), che alla fine, è l’aspetto meno importante del film. Può sembrare paradossale, ma secondo me è decisamente così…
sperando d’avervi messo almeno un pizzico di curiosità circa questo film, spengo tutto e vado a letto, che sul fuso orario di Cavona s’è fatto tardi….
buona visione!
Schuck

eXistenZ

Sunday, February 25th, 2007 by

Non so perchè mi è tornato in mente questo film, sarà forse la giornata grigissima e deprimente, e il fatto che stamattina ho fatto un tratto di strada in auto totalmente immerso nella nebbia, che fa perdere del tutto i punti di riferimento. Sarà che l’altra sera con un paio di amici siamo finiti a parlare (complice una sostanza molto alcolica) di “realtà virtuale” e su che cavolo significhi l’accostamento delle due parole, il non-senso che creano… forse per tutti questi motivi che mi è tornato in mente questo film del 1999 del mitico Zio David (mitico almeno per me, perchè è un tizio che è riuscito a prendere una cosa del tutto disgustosa, riprovevole e insulsa come gli horror-movie di serie B, e trasformarli in discussioni filosofiche, dandogli dei contenuti che molti alti autori non riescono a mettere neppure in un film drammatico strappalacrime… insomma è riuscito ad elevare l’horror più truce a livello da cineforum e da festival del cinema, fate voi)
Se avete voglia di perdervi in un oscuro e nebbioso bosco, senza punti di riferimento e con la forte sensazione di non essere così sicuri di riuscire a trovare la strada di casa, questo è il film giusto. Direi anche che è adatto a tutti. Infatti non è, al contrario di molti altri film di Cronenberg, molto truculento nè vomitevole. Qualche scena è forse un pochino impressionante, ma niente di insopportabile.
In compenso la sensazione che il film riesce a dare, man mano che scorre, è quella giusta: è la sensazione di aver avuto una certezza fino a ieri inoppugnabile, ma di averla appena persa e non sapere bene dove sia finita. Forse sarà il caso di cercarla, a sapere dove è finita, ma con tutta questa nebbia…

La storia sembra mutuata da un libro di Philip Dick, ovviamente rivisitata abbastanza da renderla quel tantino lineare e fruibile, ma comunque oscura ed inafferrabile. Infatti siamo nel campo della “fantascienza cyber”, di cui l’autore americano è stato uno dei tanti iniziatori. Le affinità tematiche mi paiono abbastanza evidenti, non per nulla lo stesso Cronenberg pare abbia lavorato per un adattamento cinematografico de “Atto di Forza-Total Recall”, poi abbandonato in favore della produzione di Verhoeven, uscita nei cinema. Si vede che alcuni di quei temi gli sono restati sul groppo per un po’ di anni, prima di decidersi a farne un film.

Qui troviamo la solita scienza matrigna (tema ricorrente nei film di Cronenberg, probabilmente convinto che buona parte delle brutture del mondo arrivino da lì) che crea una nuova aberrazione a cui l’uomo si sottopone ciecamente, senza avere coscienza di quello che sta per fare. Una specie di treno che corre a folle velocità, pronto a deragliare.
In questo caso si tratta di un nuovo videogioco di realtà virtuale molto complesso, (il suo nome “eXistenZ” dà il nome al film) apparentemente semplice ed innocente come qualsiasi gioco può essere, in grado di ricreare in modo totale una nuova realtà. Lo strumento utilizzato per giocare è una specie di verme neuro-bio-elettronico (il Game-Pod, il nome non vi ricorda nulla?) che si attacca direttamente alla spina dorsale e che permette al programma di interagire direttamente col cervello delle persone che giocano. I due esseri, l’uomo e questo essere biotecnologico, diventano simbionti, si fondono fisicamente e psichicamente, facile metafora dell’uomo che non può più fare a meno della tecnologia. A questo punto chi entra nel gioco, perde completamente coscienza del mondo che sta fuori, per cui l’unica realtà, in quel momento, è quella del gioco.
Ovvio che una invenzione del genere sembra fatta apposta per fare un sacco di soldi, o per risolvere tanti problemi del mondo (la fuga dalla realtà, per qualcuno, è sempre un buon modo per risolverli) ma anche per infastidire qualcun’altro.
Nella sequenza di apertura del film (una sequenza davvero chiave, che va vista con attenzione) troviamo infatti la multinazionale Antenna che sta presentando ufficialmente il gioco al mondo intero in una conferenza stampa, con una decina di ignari che sperimenteranno per la prima volta su di loro il Game-Pod. A quel punto salta fuori dal nulla un gruppo terrorista armato, un gruppo di “neo-realisti” che si oppone alla “realtà finta” imposta dal gioco, per salvaguardare la “realtà vera”, quella fisica che tutti sperimentiamo. L’attentato diretto ad Allegra Geller, l’ideatrice del gioco, viene sventato, e questa è l’occasione per una delle sue guardie del corpo di entrare in un contatto più diretto e amichevole con lei, e di sperimentare per la prima volta il videogioco, che durante l’attentato potrebbe essersi rotto. E così, ecco che i nostri due eroi sono i primi umani ad essere proiettati in una realtà parallela alla nostra. Una realtà abbastanza simile alla nostra, ma sufficientemente diversa da essere distinta (le armi della realtà parallela, ad esempio, sono fatte di ossa umane e carne, e sparano denti, uno dei pochi richiami alle macabre nefandezze passate di zio David). Vivere lì dentro vuol dire avere uno scopo da portare a termine per vincere la partita. Anche la psicologia dei personaggi in questa realtà risulta mutata, in modo stravagante. Infatti il gioco ha delle tappe forzate da portare a termine, quindi alcune delle azioni e comportamenti dei personaggi non sono dati dalla loro volontà, ma da scelte forzate che devono essere comunque compiute per portare avanti il gioco. Questo fatto, a cui viene data sempre più rilevanza nel corso del film, è spiegato proprio dalla simbiosi totale che si viene a creare tra la bio-macchina e l’uomo, simbiosi soprattutto psichica, che addirittura prevede che ogni macchina abbia una propria “personalità nascosta” e quindi permetta di interagire in modo diverso col gioco. Per questo motivo il Game-Pod riesce a sostituirsi all’uomo in alcune scelte effettuate all’interno della realtà virtuale.

Il film, a dir la verità, descritto così può apparentemente sembrare meglio di quello che è, poichè procede in modo abbastanza neutro e forse perfino noioso per un po’, a parte le note di colore date dalle stravaganze insite nella realtà virtuale, che sono state concepite apposta per permettere di distinguere il gioco dalla realtà.
Tuttavia di tanto in tanto si ha la netta impressione di essersi persi qualcosa, che il film non sia così lineare come vuole sembrare, che il regista stia cercando di ingannarci… soprattutto la psicologia dei personaggi guidati in modo enigmatico dal gioco, diventa spesso qualcosa di inafferrabile (e anche insopportabile).
Ovviamente quando ci rendiamo conto di essere in mezzo alla nebbia, è tardi… si sa, la nebbia cresce pian piano, così piano che a volte ci si accorge che è arrivata solo quando non si vede più nulla; è inafferrabile e impalpabile, eppure nasconde tutto ai nostri occhi.
Anche la menzogna e la verità diventano così indistinguibili…

Che cosa è la realtà, possono esistere una “realtà vera” ed una “finta”, che cavolo di senso ha una distinzione del genere, la realtà è per forza di cosa quello che il nostro cervello ci fa vedere, o là fuori ne esiste davvero una? E ancora: esiste la coscienza, quella cosa che noi pensiamo essere la nostra più intima essenza, quella che ci permette di prendere delle decisioni, il nostro vero Io, oppure anche quella è una cavolata colossale, una comoda rassicurazione che ci permettere di sopravvivere fuori da un reparto psichiatrico, e c’è in realtà qualcun’altro che ci guida nelle nostre scelte e decide per noi?

Beh, tutte belle domande, ma non aspettatevi delle risposte. Siete finiti in un bosco nebbioso ed oscuro, ricordate?

– Allora, che te ne pare?
– Di cosa?
– Della tua vita reale, quella da cui sei apena arrivato?
– Mah… in questo momento mi sembra così irreale…

Nota: pare che il regista avesse intenzione di titolare il film “eXYstenZ”, ovvero con le tre lettere XYZ in maiuscolo, che come tutti sanno indicano 3 incognite spaziali. Chissà perchè alla fine ne sono rimaste solo due…

2001: A Space Odissey

Monday, April 10th, 2006 by

In preparazione spirituale per la settimana kubrickiana alla ormai nota rassegna del cinema indipendente (IFS) parliamo un pò dell’immenso capolavoro del Maestro, che in realtà ho (ri)visto qualche mese fa, sempre all’IFS.

Leggenda dice che quando Kubrick decise di fare Il Film di Fantascienza si rivolse naturalmente a quello che considerava, mica a torto, Lo Scrittore di Fantascienza. Il quale, commentando in seguito il parto delle loro menti malate, disse che se qualcuno lo avesse capito interamente avrebbe ritenuto di aver fallito. O è la definizione di Arte. Oppure la prova che erano due pazzi. Che poi non c’è tutta sta differenza. Credo che Odissea 2001 sia l’unico caso di film tratto da un libro scritto durante la lavorazione del film e pubblicato dopo l’uscita del film (poi uno dice che a lavorare con Kubrick alla gente gli veniva l’esaurimento nervoso). Insomma, date le premesse, uscire dal teatro con un pò di confusione mentale è inevitabile.

Odissea 2001 è un film notevole per molti motivi. Riuscire a tenere la scena per quasi tre ore di cui circa metà senza dialogo (la prima parola viene pronunciata a 25 minuti dall’inizio e l’ultima a 23 minuti dalla fine) contando solo sulla musica e sulla scenografia richiede un’abilità registica quasi sovrumana. La precisione e l’attenzione maniacale ai dettagli di Kubrick unita al rigore scientifico di Clarke risultano in scene che impressionarono Neil Armstrong e fecero dire all’astronauta russo Leonov: “ora sono stato nello spazio due volte”. La maggior parte dei film di fantascienza dopo qualche anno appare irrimediabilmente datato. Il progresso tecnologico reale è semplicemente troppo rapido e spesso imprevedibile per permettere una efficace estrapolazione. Ma Odissea 2001 non mostra quasi per nulla la sua età e continua a essere estremamente credibile (per non parlare della numerose previsioni pienamente azzeccate) anche a distanza di più di 30 anni, segno dell’insano perfezionismo di Kubrick e Clarke.

Odissea 2001 andrebbe visto con lo stesso spirito con cui si leggerebbe un poema: senza cercare di capire o razionalizzare, lasciando che la storia lavori sull’inconscio e trasmetta le sue sensazioni indirettamente. Kubrick stesso lo vedeva così e aveva ragione. E’ un poema sull’uomo, sull’evoluzione, l’intelligenza (naturale e artificiale), la scienza, Dio, la psicanalisi e la coscienza. Insomma tutti i fondamentali filosofici della nostra civiltà (e la scelta di “Così parlò Zarathustra” come tema musicale non può essere casuale). Se ci si pensa il numero di questioni cruciali che riesce a toccare, in questo modo indiretto ed implicito, è davvero impressionante. L’impatto che 2001 ha avuto sulla fantascienza, sulla cinematografia e sulla cultura pop è talmente vasto che si può senza dubbio definire uno dei film più influenti e importanti di tutti i tempi. E se ne potrebbe discutere (in effetti se ne è discusso) per ore e scrivere pagine e pagine. Ma mi fermo qua. E’ un film da vedere. E forse ancora meglio è un film da sentire.

Curiosità: pare che Kubrick volesse assicurarsi con i Lloyd’s di Londra per proteggere il film nel caso venisse scoperta un’intelligenza extraterrestre prima dell’uscita del film, ma la polizza fu rifiutata. Che i Lloyd’s sappiano qualcosa che noi ignoriamo?

Let me put it this way, Mr. Amor. The 9000 series is the most reliable computer ever made. No 9000 computer has ever made a mistake or distorted information. We are all, by any practical definition of the words, foolproof and incapable of error.