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Archive for 2009

Julie and Julia

Monday, September 28th, 2009 by

Consiglio: andate a vedere questo film subito prima o subito dopo una succulenta, ricercata e saziante cena, se no sono guai.
Questa pellicola fa venire voglia di imparare a cucinare, stimola costantemente senza pietà l’appetito, é pura droga per un blogger, essendo il film tratto da un blog, infine credo sia il primo o uno dei pochi film basati su ben due storie vere.
Le protagoniste sono due donne Julia Child e Julie Powell, entrambe pressoché sconosciute aldiqua dell’oceano.
Julia Child é più che famosa negli Stati Uniti per aver insegnato alle donne americane degli anni ’60 come si cucina, in particolare come si preparano piatti della tradizionale cucina francese, grazie ai suoi libri e soprattutto grazie a fortunatissimi programmi di cucina in tv. L’origine de “La prova del cuoco” se volete, con una sostanziale differenza che potete notare guardando un video originale: Julia Child non confezionava piatti perfetti e in cucina non si comportava come lo chef che era, ma sbatteva piatti e pentole ovunque, dava consigli pratici, spiegava le cose come le avrebbe spiegate la vicina di casa, senza pretese e con molto divertimento. La fisicità imponente, il tono di voce peculiare e l’assoluta incapacità di prendersi troppo sul serio, hanno probabilmente contribuito a fare di lei un personaggio. Meryl Streep nelle sue vesti é meravigliosa, impazza in ogni scena e interpreta Julia alla perfezione, rendendole giustizia nella fisicità massiccia anche grazie a qualche trucco di scena e di inquadratura.
L’altra donna protagonista é Julie Powell, interpretata da Amy Adams, dipendente governativa, trentenne, sposata, con il desiderio di concludere davvero qualcosa per una volta nella vita. L’idea folle che le viene é quella di prendere il libro di Julia Child, darsi 365 giorni di tempo e in questo tempo realizzare tutte le ricette riportate, tenendo un blog su cui raccontare i risultati del progetto.
Questa é la seconda storia vera narrata nel film.
Le due donne sono raccontate intrecciando le loro vite perfettamente, tra momenti comicissimi: la prorompente Julia Child che si iscrive all’esclusiva e compassata scuola parigina per chef “Le cordon bleu”, l’esile Julie che litiga con le aragoste, accanto a momenti di difficoltà profondi.
Due ore di film che scorrono senza momenti di noia, tra parecchie risate e molto, moltissimo cibo.

Se ci fate caso noterete che in generale é difficile far vedere persone che mangiano facendovi venire voglia di mangiare, perché spesso mangiare non é un atto elegante, lo stesso per le operazioni di cucina; qui invece é tale il godimento espresso nel nutrirsi o nel preparare il cibo che vi viene davvero voglia di mangiare una torta al cioccolato con le mani o di passare qualche ora della vostra vita a preparare un boeuf bourguignon!

“Never, never apologize!”

Drag Me To Hell

Monday, September 21st, 2009 by

Quando hanno intervistato Sam Raimi, chiedendogli come mai, dopo l’enorme successo della serie di Spiderman, con critica e pubblico concordi nel riconoscere la sua bravura anche in film spietatamente commerciali, ha pensato di tornare ad auto-produrre un film così piccolo e di nicchia, lui ha risposto: “perché avevo voglia di tornare a divertirmi, senza essere asfissiato da produzioni elefantiache, e senza spendere nulla”…

Purtroppo il grande pubblico conosce Sam Raimi solo per la regia di Spiderman e poco altro, quindi le parole dell’intervista avranno detto poco o nulla… ma a molti fan, che conoscevano i precedenti del regista, prospettare un ritorno all’horror “a-modo-suo” ha fatto venire molta bava alla bocca (bava verde da indemoniati, probabilmente).
L’attesa non è stata riposta invano, a mio parere il nuovo horror di Sam Raimi mantiene tutto quello che prometteva, soprattutto ai suoi fan della prima ora. Drag Me To Hell segna un ritorno agli esordi in tutti i sensi, sia per il budget impiegato, sia per i mezzi utilizzati, poco sofisticati ma allo stesso tempo efficaci.

L’esordio di Sam Raimi alla regia è stato uno dei più incredibili: con poche migliaia di dollari ha confezionato uno dei più clamorosi b-movie horror della storia del cinema (per la cronaca, “Evil Dead” in lingua originale, conosciuto come “La Casa” in Italia, perché anche nei b-movie abbiamo dimostrato in quegli anni un provincialismo veramente bieco). Realizzato letteralmente nei ritagli di tempo, partendo da una idea scritta davanti ad una bottiglia di vino con gli amici, e girato con gli stessi amici per un anno solo nei weekend e con mezzi di fortuna, ha ottenuto un risultato così incisivo, anche nello sviluppo delle tecniche, che in pochissimo tempo Sam Raimi è diventato uno dei registi più acclamati.
Anche perché, negli anni, ha dimostrato di saper dirigere con buoni risultati sia film d’avventura, che thriller psicologici, western, fino a film comico-demenziali pervasi da macabra ironia.

In Drag Me To Hell si vede molto degli esordi di Sam Raimi, dicevo. Innanzitutto si vede l’incredibile mistura di umorismo nero, ironia spietatissima che non guarda in faccia a nessuno (nemmeno ad una povera vecchietta con la dentiera e l’occhio di vetro), e pura cattiveria nei confronti dello spettatore, che si traduce in trovate cinematografiche violente, soprattutto per le coronarie di chi guarda. In definitiva, ecco un horror divertente e spassoso, di quelli che riescono a fare una paura fottuta, provocare un sano disgusto, ma anche strappare qualche macabra risata quando meno ce lo si aspetterebbe. Insomma, un horror tipicamente anni ’80 dallo stile molto retrò (i titoli di testa sono da b-movie gotico, fatto e finito), che risulta quasi innovativo in questi anni 2000, che hanno visto il genere horror appiattirsi irrimediabilmente verso uno stile espressionista iper-violento e praticamente privo di ironia, alla lunga molto scontato e ripetitivo.

Lo splatter è stato inventato negli anni ‘70, come sottogenere da b-movie con una forte carica provocatrice che andava contro certi tabù dell’epoca, ed era un genere alienante, inquietante ed asfissiante (vedere “Non aprite quella Porta” per credere).
Lo splatter è stato completamente re-inventato e ribaltato negli anni ’80, quando è stato investito dalla sacra luce dell’ironia proprio dallo zio Sam. La visualizzazione violenta e quasi “cartoonesca” del sangue l’ha inventata lui (vedere “Evil Dead 2” per ripassare questi concetti). Il ridere di uno schizzo di sangue o un occhio che esce dall’orbita… sono cose che ha inventato lui. Ridere della morte, ridere della distruzione del corpo, decontestualizzare così tanto la violenza, la paura e il terrore da renderli innocui, riuscendo nello stesso tempo a “disturbare”, dare fastidio, inquietare, non far dormire tranquilli… Tutto questo si è evoluto negli anni, ed è servito da riferimento ad altri maestri del genere e non solo, ma si è anche perso nel tempo, perché negli anni 2000 la violenza dei film horror non ha più nulla di ironico o “cartoonesco”, non ci si può più permettere di riderci sopra senza sentirsi come minimo in colpa, e l’obiettivo pare essere solo creare disgusto, senza nemmeno più preoccuparsi di dire qualcosa.

Per questo posso dire che, sì, c’è da essere contenti del ritorno all’horror ironico di Sam Raimi.

Tra l’altro la storia raccontata, ripescata da un copione vecchio di 10 anni scritto a quattro mani con il fratello, è di una attualità incredibile. Viene il sospetto che sia stata scelta apposta, per una certa finalità moralizzatrice. Nonostante l’horror venga spesso additato dagli stupidi come la prima causa dei mali del mondo, spesso ha una moralità molto forte: essendo in grado di suscitare emozioni intense, anche l’insegnamento che può dare sarà intenso…

In questo caso la nostra eroina (?) Christine Brown lavora in banca e spaccia mutui senza ritegno. E’ parte integrante di un mondo senza cuore e sentimenti, quindi è già condannata, in un certo senso predestinata e votata al male. Un giorno nega un mutuo ad una povera vecchia bavosa con l’occhio di vetro, facendo tacere la sua coscienza per compiacere il capo in vista di una promozione, il giorno dopo se la dovrà vedere con un demone che vuole papparsi la sua anima ad ogni costo.
Pare non esserci possibilità di redenzione, in un mondo pieno di gente che ogni giorno fa tacere la propria coscienza, permettendo a disuguaglianze e ingiustizie di perpetrarsi silenziosamente. Qualcuno dovrà pagare per tutti, e a mezzanotte arriveranno puntuali i demoni ad azzannare un bel mutuo subprime, spargendo industriali quantità di sangue e vomito, e liberando il mondo dal male vero. In un certo senso, il risultato è quasi liberatorio, se fosse così semplice da realizzare.

L’incipit del film è accattivante, il finale è intenso ed improvviso nella sua velocità e brutalità. In mezzo ci sono tutte le regole del genere: c’è quello che serve per far saltare sulla poltrona (compreso il crudele utilizzo delle steady-cam, che Sam Raimi ha affinato negli anni, e che proietta senza preavviso lo spettatore contro oggetti e facce mostruose, senza quasi avere coscienza di cosa stia succedendo) e quello che serve per disgustare tutti coloro che hanno la pessima abitudine di mangiarsi i popcorn al cinema, ma è tutto così sopra la righe da essere completamente fuori dai canoni del genere, pur rispettandoli. Nonostante la commissione censura ritenga sempre più spesso di “punire” la violenza di certi film horror con un VM 14 o 18, non ha ritenuto di inserire alcun divieto per questo film. Forse questo ci può indicare una certa presenza di classe?
No, non credo sia solo classe… Nella scena clou, quella più spaventosa (e lo è), in cui la medium viene posseduta dal demone e inizia a succedere di tutto e di più, è fantastico trovare un caprone indemoniato che ruota la testa di 360 gradi e urla alla protagonista: “mi hai inganna-a-a-a-to, maledetta putta-a-a-a-na!”. E’ liberatorio ridere in un momento così…

Nota 1: la Ford gialla del ’74 che appare nel film, è l’auto di Sam Raimi, che appare in tutti i suoi film, Spiderman compresi. In “Evil Dead” era l’auto dei 6 ragazzi protagonisti che arrivavano alla baracca nel bosco. Qui è l’auto della vecchia zingara. Lui la considera il suo portafortuna, visto il successo che gli ha portato.

Nota 2: Da tempo si vocifera un ritorno di Raimi alla saga de “La Casa”, quella vera (quindi tralasciando tutti i film apocrifi di produzione italiana che sono seguiti al secondo capitolo, e che nulla hanno a che fare con la storia). Sam Raimi ha detto che nel tempo libero sta preparando un abbozzo di sceneggiatura, ma che ora è troppo impegnato per pensarci seriamente. Siccome si vocifera che oltre a Spiderman 4, attualmente in lavorazione, sia previsto anche uno Spiderman 5, dobbiamo forse augurarci che Spiderman 4 sia un flop? I film della serie Spiderman non sono male, ma i fan vogliono vedere il 4 capitolo della serie “Evil Dead”, e che diavolo!

Sci-Fi 107

Wednesday, September 2nd, 2009 by

Era il primo settembre del 1902, centosette anni fa, e in Francia debuttava uno dei primi “blockbuster” della storia: Le Voyage dans la Lune di Georges Méliès. Vagamente ispirato al quasi omonimo racconto di Verne, può essere considerato il primo film di fantascienza mai girato.

Un articolo commemorativo di Wired ripercorre la storia di quello che all’epoca fu un successone. Sono passati solo 7 anni dal giorno in cui i fratelli Lumière presentarono il primissimo film e già si intravedono le basi della tecnica cinematografica (compreso l’uso di animazione ed effetti speciali). Eccolo qui, nella sua versione commentata in francese dalla nipote di Méliès *, un autentico tesoro della storia della cinema:

* Il film è stato rimaneggiato più volte ed esiste anche una versione commentata in inglese e una versione “colorata” a cui sono state aggiunte le fotografie da una scena finale tagliata (in pratica, la special edition con i bonus).

Star Trek (XI)

Thursday, August 27th, 2009 by

E’ passato un mesetto dall’anniversario dell’Apollo 11 (un piccolo passo per un uomo, space the final frontier, etc…) ed è passato abbastanza tempo da averlo digerito per bene, quindi parliamo un pò del nuovo Star Trek.

Diciamo la verità: Star Trek soffriva da tempo di stanchezza. E’ innegabile anche dai fan più ciechi, dopo il quasi-flop di Enterprise e il mancato successo di Nemesis, che pure non era tanto male.
Dunque, arrivati all’undicesimo film, che ci fosse bisogno di un pò d’ossigeno – o un polmone d’acciaio, a seconda di come la si vede – non ci piove: la questione è come farlo senza violentare svariati decenni di lavoro creativo, un immenso e complesso universo alternativo e senza sfornare l’ennesima megapuntatona che piglia solo i fan (che, per dire, a me sta anche bene, ma insomma…). Ricominciando a guardare avanti insomma e a indicare la strada come Star Trek ha sempre fatto fin da quando, in pieni anni ’60, piazzò una donna africana e un russo sul ponte di comando.

La soluzione di J. J. Abrams – nonostante legittimi dubbi su di lui – è di prendere il toro per le corna, e buttare tutto all’aria. Lo fa con una certa arroganza, ma anche con l’aria di chi sa dove mettere le mani. E il risultato, anche se può lasciare a volte perplesso, generalmente funziona. Grazie anche a quello che è da sempre uno dei cavalli di battaglia della serie, riesce a mettere insieme uno storia solida e consistente, senza essere autoreferenziale, e a innovare, senza distruggere. Date le premesse, questo è un buon risultato. Rispettare la tradizione, e lo spirito, non era per nulla un risultato scontato.

Ma è anche un buon film? USS Enterprise new bridge
Beh, dipende. Dal punto di vista di un trekker ci sono chicche incredibili e succose (i cannoni fotonici! l’espulsione del nucleo curvatura!) e cose orride da venire voglia di strapparsi gli occhi (che-minchia-sono-quelle-robe-da-power-rangers e perchè cazzo la sala motori sembra una fottuta latteria?). Senza contare inesplicabili quanto fastidiosi omaggi citazioni riferimenti a Guerre Stellari che sembrano proprio buttati lì tanto per. Capisco che tutto ciò possa lasciare indifferente lo spettatore “normale”, ma il fattore eye-candy (masturbazione visiva per trekker) è indiscutibilmente abbastanza elevato. Certo si sconta un pò il problema di ogni prequel di fantascienza: come mostrare una tecnologia meno avanzata di quella che si poteva far vedere negli anni ’90 (detto ciò la nuova plancia dell’Enterprise è bellissima oltre ogni dire).

Se la storia è un pò debole – e circonvoluta quel tanto che basta per forzare i paradossi e spingere l’intera baracca in un’altra direzione – la vera forza e il fascino di Undici sta nei personaggi e nelle loro relazioni, nel vedere come nascono e si sviluppano. Il livello di recitazione veramente ottimo (ad eccezione forse di Simon Pegg e Zoe Saldana, più per colpa degli sceneggiatori, che gli hanno assegnato parti troppo comiche o troppo decorative, che per colpa loro) riprende i modi di fare e dire dei leggendari attori della Serie Originale, senza trasformarli in imitazioni o macchiette. Questo è davvero un film corale, e il punto non sono paradossi temporali, astronavi, alieni e battaglie, ma persone che si trovano, si scoprono, lottano con sè stessi, con i loro fantasmi e con gli altri per diventare gli amici inseparabili di una vita.
Che poi è quello che Star Trek ha sempre saputo fare meglio.

Ah. E un paio di standing ovation al vecchio Leonard non gliele vogliamo fare?
Spock

What is necessary is never unwise

Inglouriuos Basterds

Monday, August 24th, 2009 by

Come e’ gia’ capitato per alcuni miei precedenti post questa non sara’ una recensione vera e propria, quanto un consiglio spassionato. La recensione di questo film richiederebbe infatti ore di meditazione, di ricerca dei dettagli, richiederebbe una seconda visione del film stesso, richiederebbe la (ri)visione degli altri precedenti film dello stesso regista e anche la visione di tutti i film a cui e’ ispirato, quindi accettate il consiglio e fidatevi: andate a vedere Inglouriuos Basterds.
Tarantino ha fatto un film degno del successo di botteghino che sta avendo, almeno qui un UK. Un film in cui ci sono talmente tante citazioni musicali e cinematografiche che spero di andare a rivederlo per riuscire a coglierle. E’ nel suo stile violento e splatter per certi versi, comico e grottesco per altri, se non vi sono piaciuti Pulp Fiction e Kill Bill evitate ovviamente, diversamente che ci fate ancora li? Filate al cinema.
Qualcuno ha detto che il film e’ troppo lungo, io proprio non me ne sono accorta, troppo intenso. Consiglierei la visione in lingua originale perche’ Tarantino, tra l’altro, ha compiuto un miracolo su Brad Pitt, l’attore recita con un temibile accento del Tennessee, tanto difficile e pesante che la recensione della BBC suggerisce che potevano sottotitolare anche la sua parte! Infatti tutti i caratteri del film che non sono americani non sono tradotti ma sottotitolati (come quasi sempre in UK), per cui i nazisti parlano in tedesco, i francesi in francese … e quando Pitt deve fingersi italiano la sua parlata e’ meravigliosa! Non so davvero come potranno tradurre questo film, mi dispiace, meta’ della bellezza sta nel linguaggio certe volte. Converrete poi che gli ordini di un kapo nazista sentiti in lingua tedesca hanno tutto un altro suono, meta’ della paura che fanno deriva dalla durezza della lingua tedesca … una malattia della gola piu’ che una lingua.
Dicevo? ah, si, vedetelo in lingua originale se vi riesce.
Fate attenzione ad alcune manie tipiche di Tarantino: piedi di donna, ci sono sempre e sono piedi normali, femminili e visti da vicino, poi le donne di Tarantino, sempre vere, mai troppo giovani, reali insomma, bravo.
Aggiungerei la presenza dell’immancabile mexican standoff e la mania per girare con la telecamera vorticosamente intorno alla scena, da mal di stomaco imminente, la scena si “ferma” proprio un secondo prima che la nausea vi colga, malefico Tarantino!
I colori di certe sue scene sono cosi vivaci da ricordare certe locandine di B-movies degli anni 80, da godersi la scena finale nella regia del cinematografo, luci e colori da fumetto, un indimenticabile tono di rosso.
Infine l’idea che si dovesse lasciare ai nazisti sopravvissuti qualcosa che li rendesse riconoscibili come tali anche una volta tolta la divisa non e’ affatto male, nonostante la crudezza insostenibile del gesto.

Concludo, un po’ come disse Eco dopo aver scritto “Il nome della rosa”: “avevo voglia di assassinare un monaco“, secondo me Tarantino aveva voglia di uccidere un po’ di nazisti, dategli torto.

Lt. Aldo Raine: You probably heard we ain’t in the prisoner-takin’ business; we in the killin’ Nazi business. And cousin, Business is a-boomin’.